Pezzi di cielo su pelle

Martedì 7 marzo sembra un giorno come tutti gli altri. Invece mi sbaglio, solo che ancora non lo so.

La sveglia, come ogni volta quando al lavoro ho il turno presto, suona alle 4.30. Colazione leggendo distrattamente le notizie sul pc, giro a piedi con Pluto per fargli fare pipì e alle 6 in punto sono in sella, pronto per pedalare in ufficio a Milano. Claudia dorme ancora quando esco e per non disturbarla cerco di essere il più silenzioso possibile. Missione che spesso fallisco.

Casa – lavoro sono 45Km, che percorro ormai da anni in bici. Mi permettono di coniugare la mia idea di “rispetto dell’ambiente che mi ospita” e di tenermi in costante allenamento per percorrere poi lunghe distanze nel week end. Al ritorno mi affido invece a soli 9Km sui pedali e il resto in treno.

L’inizio del 2023 non è stato semplice: Claudia e io avevamo fatto dei piani che si sono polverizzati il pomeriggio del 31 dicembre a causa di un grave problema familiare che giustamente è balzato al primo posto.
Abbiamo pazientato, atteso, cercato di incastrare tutto al meglio e fare quello che ci veniva concesso di settimana in settimana, senza troppi programmi, sperando che tutto tornasse a una parvenza di normalità.

Ciononostante ho continuato ad andare in bici, spesso agli orari più assurdi, alzandomi prima che sorgesse il sole anche quando lavoravo da casa e sarei potuto rimanere tranquillamente a letto. Spesso mi sono ritrovato a percorrere “la strada più lunga” anche quando non ne avevo voglia, o quando faceva freddo e tutto intorno era buio. Ho sempre cercato di fare una pedalata in più per farmi trovare pronto nel caso in cui la possibilità di perseguire i nostri sogni si fosse riaccesa.
Invidio quei “colleghi” che riescono a non toccare la bici per settimane o mesi, saltare in sella e percorrere distanze stratosferiche senza troppi patemi.
Per me non è così.
La bici è ed è stata la mia passione fin da bambino, è sempre stata presente nella mia vita, ma se dicessi che sono “nato per pedalare” starei mentendo. Non faccio parte di quella schiera di eletti che sale in sella e tutto gli viene facile, naturale. Ogni salita, ogni dannato chilometro, me lo sono dovuto conquistare con forza di volontà, tenacia, passione, sacrificio. Non mi è pesato farlo, ma non è stato facile.
Così, ancora oggi, dopo oltre 30 anni in sella, se mi pongo degli obbiettivi ambiziosi, so anche che dovrò fare dei sacrifici per raggiungerli. Nulla è gratis. Non per me almeno.

Le giornate più fredde e buie sono ormai alle spalle e anche appena esco dal box, scattando sulle pedivelle, non provo più quella sensazione di freddo che ti aspetta vigliaccamente dietro l’angolo di casa. L’aria è ormai tiepida e la primavera si fa nettamente percepire nelle narici.

Ho percorso 20Km. Mi fermo al semaforo rosso. Proprio qui, a poche centinaia di metri, è posta la partenza della Randonnée Madonna del Sasso di 300Km che ci sarà tra qualche settimana. Chissà se potremo esserci.
Guardo il cielo ormai chiaro sopra Nerviano, sorrido al pensiero di come le giornate si siano rapidamente allungate regalandomi spesso un’alba inaspettata. Penso che potrei anche spegnere una delle tre luci posteriori, ma le lascio accese. Scatta il verde, parto. Pochi chilometri e sarò a Rho.

Buio…

E’ passata circa mezz’ora da quest’ultimo pensiero. sopra di me un soffitto chiaro, mentre percepisco l’asfalto correre veloce alle mie spalle. Sono sdraiato sull’ambulanza e non ho idea di cosa mi sia successo. Ne deduco un’incidente. Guardo le maniche del giubbottino sporche di sangue, il mio.
Chiamo Claudia dal cellulare. Non voglio qualcuno la avvisi prima e credo che sentire la mia voce possa contribuire in qualche modo a tranquillizzarla.

Lo so che hai avuto un incidente. Sto venendo al pronto soccorso
Dannazione, l’hanno già chiamata
E’ la terza volta che mi chiami“.

Attacco. Rimango impietrito. Qualcuno sull’autolettiga dice che sono in stato confusionale. Come dargli torto. Anche perché quelle due precedenti telefonate io proprio non le ricordo. Così come non ricordo cosa sia successo, la macchina che mi ha investito, la targa, l’autista, di aver dato il  mio numero di telefono, di essermi alzato, di aver staccato il Garmin dalla bici. Tutte cose che ho saputo poi per interposta persona.
Provo un misto di paura e panico, ma contemporaneamente so che anche la scorsa volta era andata più o meno così.

In ospedale tutti si muovono rapidamente: chi mi fa un’iniezione sul braccio destro, chi mi attacca una flebo, chi mi anestetizza il viso e chi mi cuce il sopracciglio. Poi via con la girandola di esami: lastre, tac, liquido di contrasto. Poi silenzi eterni, in attesa di un responso. Di tanto in tanto un’infermiera premurosa fa capolino per sincerarsi come sto, o se sono cosciente forse. Sono affranto e rammaricato. La testa vuota da ogni pensiero, solo, spaventato. Non avevamo certamente bisogno di un nuovo ostacolo ora e non riesco a non sentirmi in colpa, anche se, fin dove riesco ad arrivare coi ricordi, so di non essere stato imprudente o aver fatto manovre azzardate. Stavo andando dritto, sul lato destro, con le luci accese anche se chiaro, il giubbottino rifrangente.

I responsi arrivano alla spicciolata e a ogni nuova notizia, bella o brutta che sia, vorrei chiedere se è l’ultima o se devo aspettare per tirare un’ipotetica somma. Resto in silenzio. Altre lastre, questa volta al gomito, poi un tutore al braccio sinistro.

Trauma cranico, frattura di un osso del braccio sinistro (capitello radiale), diverse fratture nell’orbita oculare sinistra (fortunatamente composte che non richiedono intervento chirurgico), tagli sul viso che hanno richiesto una dozzina di punti di sutura, un dente rotto, occhiali rotti, graffi, botte, lividi. Pezzi di cielo su pelle, come canta il mio amico Andrea.

E’ con questo responso che, intorno alle 23, dopo oltre 12 ore in osservazione, Claudia e io torniamo a casa. Sconfitti. Il giorno seguente è pessimo: non riesco praticamente ad alzarmi dal letto e dopo 48 ore senza bere e mangiare, cala nuovamente il sipario della sera. I pensieri sono i più disparati: sconforto, rabbia, rassegnazione, perplessità, indifferenza mentre guardo la primavera oltre il vetro della finestra di casa. Per qualche ora arrivo a pensare che forse sia giunto il momento di scendere di sella. Un po’ per paura, un po’ per senso di impotenza e inferiorità.
Chi mi conosce un minimo sa che non sono abituato ad arrendermi, non prima di aver fatto tutto il possibile.
E’ solo un’altra battaglia, dove pazienza e tenacia sono fondamentali. Doti che non mi mancano. Tornerò in sella prima o poi: non può e non voglio finisca così. Ci vorrà del tempo, ma non mi arrenderò.

Nel frattempo, sul telefono, complice un post di Claudia, i messaggi degli amici si sono accodati come auto al casello di Melegnano a ferragosto. Ognuno ha un pensiero, una bella parola da dedicarmi. Grazie a tutti di cuore.

Sabato 11 marzo è prevista la 400Km a San Zaccaria (RA) e, inaspettatamente, il regalo più bello arriva da Silvia, la figlia di Giuseppe, caro amico di randonnée. Un foglio con sopra scritto timidamente col pennarello “Forza Ivan. Daje“. Piccoli, grandi gesti che ti illuminano l’anima e ti regalano ancora più energie per lottare.
Saranno giorni lunghi, a volte duri, sicuramente non facili, ma so che sono necessari per tornare a prendere l’aria in faccia, a emozionarmi davanti a un panorama, a stupirmi di avercela fatta, ancora una volta.

Come dice Claudia, in questo 2023, un concetto ci è stato insegnato a chiare lettere: RESILIENZA. Il dizionario spiega sia la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà, ma più semplicemente viene definita anche come la capacità di assorbire un urto senza rompersi.

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Non sono solito postare mie foto. Di solito preferisco i paesaggi che contemplo durante le pedalate, le albe e i tramonti che ho la fortuna di ammirare mentre sono in sella.
Questa volta farò un’eccezione. Ci metterò la faccia. Non per “vantarmi” o impietosire o quant’altro…. Ma vorrei semplicemente sensibilizzare tutti voi che ogni giorno vi mettete alla guida di un veicolo motorizzato. Con una minima distrazione, questo è quello che potete causare a un individuo (senza contare le fratture e botte nel resto del corpo). A me è “andata bene” e forse in un mese mi rimetterò, ma a tanti altri non va “così di lusso”. Avete un’arma in mano, rendetevene conto.
Prima che me lo chiediate: si, viaggiavo da solo in fila con me stesso, ero sul lato destro della strada, avevo il caschetto, avevo il giubbottino rifrangente e le luci anche se era chiaro. Amen.