Penice, Brallo e quella voglia di faticare

P&B1Aprile è ormai alle spalle. La primavera ha definitivamente invaso e conquistato ogni prato, ogni campo, ogni pianta. Ogni cosa porta ora i segni verdi e vivi della nuova stagione, profumi inebrianti che invadono l’aria. Ogni tanto si inizia a sentire già nel vento il profumo d’estate, mentre altri giorni (soprattutto nei week end) l’autunno ci torna a trovare con qualche piovasco e giornata fredda.
Sono passate le classiche del nord e il Giro d’Italia è ormai prossimo.

E’ arrivato così maggio, con un bottino di sole e aria calda.
Venerdì 8 ho programmato da tempo un giorno di ferie per svolgere una serie di commissioni che ho in sospeso.
Tutto sembra incastrarsi per il verso giusto e alle 10 sono già libero da ogni vincolo. La giornata è ancora lunga e allora non ho dubbi sul da farsi: ho voglia di faticare, di sudare, di sentire male alle gambe, di avere il fiato lungo. Lo so, potrei sembrare masochista. Forse lo sono. Forse la sofferenza è nell’indole di qualsiasi persona che pratica sport di fatica. Non a caso forse mi sono dato alla bici e alla corsa.

Alle 11 sono già a pochi minuti da Varzi. Parcheggio l’auto, salto in sella e sotto i raggi di un sole caldo e intermittente, mi avvio sorridente verso la scalata del Passo Penice.
Le prime rampe, intorno al 6/7% svegliano subito gambe, ma verso il quinto chilometro la strada spiana, permettendo di riprendere tranquillamente fiato e godersi il panorama.
Varzi e il torrente Staffora mi appaiono ora come un punto e una linea su un foglio verde.
Dopo otto chilometri, le pendenze riprendono a farsi più insidiose, restando costantemente tra il 6/8%.
Giunto al bivio per il Passo Brallo, tengo la sinistra e continuo l’ascesa al Penice. La strada, immersa ora nel bosco verdeggiante, si fa via via più dolce accompagnandomi sino al cartello del Passo, posto a 1150m, dopo oltre 15km di ascesa.
Prestate attenzione: il Passo, dove la strada principale scollina, non è il punto più alto, ma vi è la possibilità di proseguire sino a quota 1446 (Monte Penice). Se preferite i 1150, potete tranquillamente darci dentro negli ultimi chilometri, se invece volete proseguire sino ai 1446, consiglio vivamente di sfruttare l’ultimo facile tratto per recuperare fiato e energie.

Da buon masochista io svolto a destra sulla piccola strada, faccio un respiro profondo e mi alzo sui pedali. I 4 km che portano alla vetta del Monte Penice sono davvero tosti, costanti intorno al 9%. In particolare le ultime due/tre rampe sono davvero ripide. Per altro nei primi 2 km l’asfalto è in ottime condizioni, mentre negli ultimi 2 è abbastanza dissestato, ma comunque percorribilissimo.
Arrivato in cima, mi guardo attorno e sembra stia per arrivare il finimondo: il sole è definitivamente sparito, nuvoloni minacciosi e pesanti mi volteggiano attorno come condor su una preda, mentre vere e proprie orde di moscerini ostruiscono la vista. Mi sento una carta moschicida: ovunque guardi vedo moscerini attaccati al mio corpo.
Mi copro in fretta e furia e via in picchiata. Ho l’impressione abbia iniziato a piovere, invece mi rendo presto conto che sono la miriade di moscerini che vengono investiti dal mio caschetto. Tengo la bocca chiusa e vado avanti.
Tornato sulla strada principale tengo la destra seguendo i cartelli per Bobbio.
Sceso sotto quota 1000m ricompare il sole e i moscerini si volatizzano nel nulla.
Volgo un ultimo sguardo al Penice, ancora avvolto da un drappo nero. Mi chiedo se siano nuvole di pioggia o di insetti.

P&B2Dopo Bobbio imbocco la strada che costeggia il Trebbia. Il panorama è davvero bellissimo. La mia mente vaga e per un attimo ricordo il mio viaggio negli Stati Uniti di qualche anno fa. Ricordo il Grand Canyon e il fiume Colorado che, visto dall’alto, sembrava un ruscelletto. Il panorama è reso ancora più bello dal fatto che non incontro quasi neanche una macchina. Probabilmente perchè è un giorno infrasettimanale ed è da poco passata l’ora di pranzo. Me la godo appieno, sognando un bagno nel Trebbia. Sarà per la prossima volta. Tra saliscendi poco impegnativi giungo a Marsaglia, dove la strada riprende a salire in modo costante e inizio la mia ascesa verso il Passo Brallo.
Il tratto più duro è quello iniziale (con pendenze comunque non proibitive), sino al paese di Lago che si raggiunge dopo 7 km di ascesa, dopodichè si avvicendano tratti in leggera salita, pianeggianti e di tanto in tanto qualche breve discesa.
A complicare l’ascesa ci sono solo due elementi: la stanchezza che inizia a farsi sentire e ignoro bellamente sopraffatto dalla voglia di andare avanti e la lunghezza. Da Lago infatti vi sono altri 13 km di ascesa, per un totale di 20km che portano ai 951m di Brallo di Pergola, paese che mi appare quasi come fantasma.

La discesa che mi riconduce a Varzi non richiede quasi mai di frenare e anzi, così come la salita, di tanto in tanto spiana o è addirittura in contropendenza.
Pian piano il punto di partenza e il torrente Staffora, che avevo lasciato qualche ora prima, si materializzano di nuovo.
Percorro 84 km e, tra le due scalate, circa 1700m di dislivello in salita.
I vestiti sono fradici, le gambe indolenzite, ma il sorriso e la soddisfazione rimangono stampante sul viso e nel cuore. Mentre riparto in auto verso casa il cielo si fa scuro e un temporale comincia a borbottare e versare le prime lacrime. Guardo la bici dallo specchietto retrovisore. Sorrido e penso “Siamo stati più veloci noi questa volta”.

P&B3Percorso:

Altimetria Passo Penice
Altimetria Passo Brallo