Super Randonnée Lombardia Extreme

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DISTANZA:
624Km
DISLIVELLO:
13.400m D+
PARTENZA / ARRIVO:
Parabiago (MI) / Campo dei Fiori (VA)
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SALITE AFFRONTATE:
– Colle Brianza / Consonno (628m)
– Valcava (1340m)
– Berbenno (673m)
– Passo Zambla (1264m)
– Passo Presolana (1298m)
– Passo del Vivione (1828m)
– Aprica (1181m)
– Teglio (859m)
– Passo San Marco (1992m)
– Culmine di San Pietro (1258m)
– Ghisallo (758m)
– Colma di Sormano (1116m)
– Morbio (475m)
– Forcorella di Marzio (770m)
– Rasa (555m)
– Campo dei Fiori (1212m)

E’ la sera di giovedì 20 settembre. Scruto il cielo scuro e bigio come un capo tribù indiano, in cerca di vane risposte. Avevo programmato per il giorno seguente la partenza del mio Lombardia Extreme, ma le previsioni meteo, pessime lungo l’arco nord occidentale delle Alpi, mi fanno propendere per rimandarlo a data da destinarsi, forse all’anno prossimo. Chissà.
A posteriori, la scelta è stata giusta: i giorni successivi, a causa della quantità d’acqua caduta, è stata chiusa la strada lungolago di Como per una frana, proprio dove transita il percorso. Sarebbe stato un problema, senza contare la preoccupazione di Claudia, sapendomi in giro, di giorno e di notte, sotto l’acqua incessante.

Succede però che venerdì 6 ottobre mi ritrovi ancora in ferie. Il meteo è decisamente migliore e, senza pensarci troppo, decido che è questa l’occasione giusta!
La sveglia suona alle 2.15, nel cuore della notte. Alle 3.30 raggiungo Parabiago e, 15 minuti più tardi, può iniziare la mia avventura…

I paesi scorrono tutti uguali e inanimati nel buio e, quasi senza rendermene conto, raggiungo la Brianza. Me ne accorgo perché sotto le ruote si presentano continui saliscendi, più o meno impegnativi. Ho percorso poco più di 60Km, quando mi ritrovo sulla prima vera asperità che porta, non senza fatica, a Colle Brianza. Il cielo intanto prende lentamente a schiarire, lasciando intravedere un tetto monotono di nuvole grigie. Giunto al cartello del colle, le fatiche non sono però finite perché bisogna arrampicarsi altri 2,5Km che mi conducono ai 628m del paese fantasma di Consonno. Il cielo tetro, se possibile, rende l’ambiente ancora più inquietante. Scruto tutto guardingo, come un fuorilegge in un villaggio western e, tra i ruderi delle costruzioni e le scritte ribelli sui muri, non scorgo alcuna forma di vita.
L’asfalto che in discesa conduce a Garlate è ormai deteriorato dall’incuria e richiede la massima attenzione, ma raggiunto il paese posso finalmente rilassarmi e fermarmi al primo bar che trovo per la colazione.

La strada che seguo e che seguirò per i successivi 100Km, coincide con il percorso del Lombardia, in programma sabato 7 ottobre. Per lunghi tratti, leggendo le scritte sull’asfalto e gli striscioni appesi nei paesi, mi illudo di essere in fuga solitaria verso la vittoria… Se non fosse che sono partito il giorno prima!

Sono da poco passate le 8, quando l’asfalto riprende a salire, verso la seconda ascesa di questo impegnativo menù: la temutissima Valcava, spettro e incubo per tanti ciclisti lombardi. La conosco, la eviterei volentieri, ma non posso, così la prendo con la dovuta calma. Personalmente, a bocce ferme, la considero la più dura dell’intero giro, soprattutto dopo i primi 7Km, quando le pendenze sono costantemente in doppia cifra. Ad ogni modo, con il fiato corto e sudando copiosamente, alle 10.25 raggiungo i 1340m del valico. La discesa dal versante opposto è semplicemente gelida, complice il sole che ancora non si fa vedere.
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A Ponte Giurino la discesa sfuma come vino bianco sulle scaloppine, ma prima di approcciare una “nuova sfida”, ho bisogno di scaldarmi. Un orzo in tazza grande e una fetta di crostata fanno il loro dovere. In pochi minuti risalgo in sella e inizio ad arrampicarmi verso Berbenno. Rispetto alla Valcava la musica è ben diversa: la salita (una delle poche che ancora non conoscevo) risulta quasi sempre pedalabile e, ad allietare l’umore, ci pensa il sole che finalmente si palesa nel cielo.

Il tratto tra la Val Brembana e la Val Serina è spettacolare, così come la salita che porta al Passo Zambla, con la vista che, pedalata dopo pedalata, si apre su tutta la valle verdeggiante.
Al contrario, il tratto successivo che conduce verso il Passo della Presolana, è piuttosto trafficato e caotico. La salita si presenta come un lungo e logorante falsopiano che fa affiorare nelle gambe e nello spirito tutta la stanchezza della giornata. Il panificio / pasticceria che scorgo sul lato opposto della strada, è sicuramente un segno del destino, manna dal cielo. Sarà la fame, ma sembra tutto buonissimo e, rinfrancato nell’umore e nello stomaco, sono pronto a ripartire. Man mano che guadagno quota, il traffico si fa sempre più rado, fino a raggiungere in beata solitudine i 1298m del passo. Sono ormai le 17 e mi sono lasciato alle spalle circa 210Km. L’aria comincia a farsi nuovamente pungente come stamane e, lentamente, la sera si presenta alla porta.
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Salendo verso il passo del Vivione, di tanto in tanto scorgo un lontano e malinconico tramonto estivo ormai sbiadito, ma ben presto cala il buio e il silenzio, se possibile, si fa ancora più assordante. La vetta della montagna è completamente avvolta dalla nebbia e, negli ultimi 2Km di ascesa ho la sensazione di trovarmi in Transilvania. Lupo ululà, Vivione ululì.
In vetta cerco di coprirmi in fretta, mentre da qualche parte alle mie spalle odo dei latrati di un cane che ho l’impressione sia sempre più vicino. Riparto il prima possibile, ma la visibilità è pressoché nulla. Fortunatamente, scendendo di quota, la nebbia si dirada e posso affrontare la buia discesa con un po’ più di serenità. Un tasso, che incontro in mezzo alla strada, mi obbliga a fermarmi, ma sembra non volerne proprio sapere di spostarsi, così, dopo qualche minuto di inutile attesa, mi avvicino pian piano, fino a convincerlo a nascondersi nel bosco.

Un ultimo tratto in falsopiano mi scorta fino a Malonno dove, dopo 262Km,  trovo lungo la SS42 l’albergo che avevo sapientemente prenotato. La considero un’ottima soluzione se si parte molto presto come nel mio caso, se invece si vuole partire più tardi e si vuole evitare di pedalare la prima notte, forse è meglio trovare una sistemazione prima del Vivione.
Una doccia calda, un’ottima cena e finalmente un letto dove poter recuperare dalle fatiche di questa lunga giornata.

Quando suona la sveglia, oltre il vetro è ancora buio e silenzio. Tutto è immobile e anche l’albergo pare inanimato. Chiudo la porta alle spalle e parto come un fuggiasco avvolto dall’oscurità.
Sono da poco passate le 4 quando inizio ad arrampicarmi sulla pedalabile strada che porta al passo Aprica e una delle immagini più belle di questa avventura è la stellata che splende sopra il caschetto. Ai 1180m del paese trovo solo 8 miseri gradi ad attendermi e la speranza di trovare un bar aperto è pura utopia. La discesa non è lunga, ma si sente sulla pelle e nelle ossa. Fortunatamente, giunto a Tresenda, la strada riprende a salire verso Teglio, il paese dei pizzoccheri. Socchiudo gli occhi e mi sembra quasi di percepirne il profumo, incurante del fatto che siano da poco passate le 6 e intorno stia albeggiando.
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Arrivato agli 850m dell’abitato, quello che trovo è invece un bar. Uno di quelli che credo siano rimasti uguali da 50 anni a questa parte: signora attempata dietro al bancone, teca delle brioches dell’epoca rinascimentale, tazzine color nostalgia, mascotte dei mondiali del ’90 su una mensola, tavoli in legno intagliati da Mastro Ciliegia e vecchietto già seduto al posto di comando, pronto a dire la sua a chiunque varchi la soglia. Io ovviamente non faccio eccezione:

“Non avrà mica freddo?”
“Eh, insomma…”
“Va là, fa caldo. Ai miei tempi a inizio ottobre c’era già la neve”.

E niente, ha vinto lui. Per fargli vedere che non temo nulla, valuto di ripartire subito in discesa a petto nudo, ma poi propendo per per un caffè doppio bollente e una brioche al cioccolato che mi auguro non sia dell’epoca rinascimentale come la teca.

Il tragitto, tutto in leggera discesa fino a Sondrio, è paesaggisticamente bellissimo. E’ la strada dei vini e in questo periodo di vendemmia, offre il suo massimo splendore, mentre il sole si leva deciso nel cielo.
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A Morbegno necessito di una seconda colazione, più che altro per prepararmi moralmente ad affrontare il passo San Marco. Lo conosco bene e so che la salita, già interminabile dal versante Orobico, è ancora più lunga da quello Valtellinese. Sono infatti ben 27 infiniti chilometri che mi logorano e mi consumano. Pedalata dopo pedalata mi ripeto che, raggiunta la vetta, avrò superato il punto più alto di questa folle avventura e da lì in poi, tutto sarà più semplice. Alle 13.10 giungo finalmente ai 1992m del valico. Nell’ultimo tratto la vista è semplicemente splendida.

La discesa dal versante Bergamasco scorre veloce sotto i copertoni e, giunto a San Giovanni Bianco, sono pronto per affrontare una nuova asperità. Dopo San Marco, tocca a San Pietro. La prima parte di ascesa, la più caratteristica e pedalabile, risale tra le gole della Val Taleggio, per poi inoltrarsi in un fitto bosco e farsi più impegnativa.
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Ai 1260m del valico, complice il fatto che il pomeriggio è stato parecchio caldo, sono piuttosto provato. Il piano è quello di arrivare alla svelta a Lecco, così da trovare un posto per mettere qualcosa nello stomaco.
Mi avvio in discesa, mentre l’aria si fa pungente e lentamente il sole si nasconde dietro al crinale. Giunto su “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno” (Cit.) mi imbatto in una panetteria e pasticceria che scruto come un bandito appostato fuori dall’ufficio postale a fine mese. Tra pizze, focacce, torte salate e dolci c’è l’imbarazzo della scelta e devo concentrarmi al massimo per non sbavare sul bancone. Ripartire con la pancia piena è decisamente più semplice!

Osservo le coppie passeggiare romanticamente tra gli ultimi bagliori di questo sabato di inizio ottobre sul lungolago di Malgrate, mentre la mia bici sfreccia verso la sera. A Bellagio inizia la danza sui pedali che porta ai 758m del Ghisallo. E’ completamente buio e la chiesetta illuminata, risulta molto accogliente e affascinante. Il tempo di riempire la borraccia, volgere un malinconico sguardo a quel luogo mitico e sono pronto a ripartire.
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La discesa è breve e dopo aver imboccato la strada a destra, l’asfalto riprende a salire verso la Colma di Sormano. Valuto rapidamente se imboccare il Muro o mantenermi sulla strada principale. Opto per la seconda ipotesi. Raggiungo i 1116m alle 22.30. Tira un forte vento gelido, che mi fa propendere per coprirmi e gettarmi in discesa. Delle risate di ragazzi, echeggiano da qualche parte nel buio, probabilmente sdraiati ad ammirare il cielo, o più verosimilmente ammirarsi reciprocamente.

Temo molto la discesa della Colma: stretta, tecnica e avrei evitato volentieri di affrontarla col buio. Tutto sommato, invece, risulta meno impegnativa di quello che pensavo. Raggiungo Como e me lo lascio rapidamente alle spalle. Sono le 23 passate e non ho un posto prenotato per la notte. A Cernobbio trovo un palazzo con un porticato aperto. Delle panchine di cemento sembrano essere lì appositamente per riposarsi. Chiudo gli occhi e in men che non si dica, mi addormento. Vengo destato poco prima delle 2 dal vociare di alcuni ragazzi che rincasano dal sabato sera lariano. La faccia incredula che si dipinge sui loro volti nel trovarmi appollaiato, sembra dire “Ma siamo ubriachi noi o questo sta dormendo qui davvero?!“. Vorrei spiegarmi, però mi rendo conto risulterei poco credibile, così, mentre si chiudono rapidamente il portone alle spalle, decido di ripartire per il mio cammino.

Il percorso prevede un tratto di circa 25Km in Svizzera, ma giunto alla dogana di Maslianico – Pizzamiglio, scopro con stupore che è chiusa dalle 21 alle 6. Mi avvicino lentamente a piedi, cercando un’inutile pertugio tra recinzioni e cancelli. Già mi vedevo oltrepassare il confine clandestinamente, con la polizia Elvetica alle calcagna capitanata dal poliziotto Huber!
Valuto rapidamente il da farsi, tra un’imprecazione e l’altra. Alla fine restano sul tavolo tre soluzioni: trovare un posto per dormire nell’attesa che apra, cercare una strada alternativa, mantenermi in Italia e ricongiungermi col percorso a Porto Ceresio. Calcolando che non sono neanche le 3 e che non ricordo molto la strada che si mantiene di Italia, opto per la seconda soluzione. Studio attentamente la cartina, decidendo di ripercorrere la traccia a ritroso per circa 10Km e superare il confine a Chiasso (dogana aperta h24). Da lì, in circa 3Km, mi riporto dalla parte opposta della dogana di Maslianico e nuovamente sulla traccia. Nella deviazione due incontri curiosi: una signora che mi chiede dove può prendere l’autostrada per andare a Milano…. Chiederlo a uno in bici che non fa l’autostrada non si rivela una brillante idea… E due ragazzi che mi chiedono dove possono trovare un distributore di benzina… Rispondo loro che io faccio circa 70Km con un litro… D’acqua.

Maledico di aver scelto la seconda ipotesi e l’ideatore del percorso (Mino ndr) nel drittone al 13% che porta a Morbio Superiore, anche se devo ammettere che la cittadina vista dall’alto è affascinante. A Porto Ceresio faccio rientro in Italia, ma il sonno mi bracca le palpebre. Il vento che mi tiene compagnia dalla Colma non si è ancora stancato, così mi rintano nei locali della stazione per un microsonno di 15 minuti. “Fresco e riposato” sono pronto a ripartire. Ancora una volta, come sull’Aprica il giorno prima, spero inutilmente di imbattermi in un bar aperto a Brusimpiano. Niente da fare, così non mi resta che svoltare a sinistra e imboccare l’ascesa che porta alla Forcorella di Marzio. E’ una salita che conosco bene: pedalabile nella prima parte, bastarda nella seconda. Per lo più si snoda in un fitto bosco e questo mi fa propendere per mettere sul cellulare le canzoni a tutto volume e accendere la luce frontale sul casco (oltre a quella anteriore sulla bici), col duplice intento di tenermi sveglio e far allontanare tempestivamente la fauna locale. La tattica funziona e la salita scorre via metro dopo metro. Sono quasi in vetta quando noto, immobile al centro della strada, una volpe. Mi fermo, ci guardiamo dritti negli occhi per qualche istante, ma sembra un’eternità. Il cuore a mille, prima che si divincoli nello scuro e misterioso bosco. Raggiungo i 770m intorno alle 7. Il cielo rapidamente schiarisce, mentre mi copro per affrontare la discesa. Potrei non guardare più la traccia ormai: sono le strade dove sono solito pedalare con Claudia durante tutto l’anno, così la mia attenzione è catturata dal provare a ricordare un bar dove poter fare colazione. Ricordo improvvisamente che, subito dopo Brinzio, sulla destra, c’è una panetteria-pasticceria che fa al caso mio, ma, delusione massima, quando la raggiungo è ancora chiusa. Mi faccio bastare le scorte di cibo che ho nella bisaccia e decido di chiuderla qui: giunto a Varese imbocco la strada che porta a Campo dei Fiori. E’ l’ultima, dura, salita. Mancano pochi chilometri al traguardo, quando un maestoso cervo attraversa la strada pochi metri davanti al mio sguardo, che rimane stupefatto.
Eccomi ai 1200m. Sono le 9.40, la giornata è serena e la vista può spaziare tra i laghi. Altri ciclisti giungono alla spicciolata, ognuno con la sua storia da raccontare. Rimango in disparte, in silenzio a osservare soddisfatto l’orizzonte. Qualcuno mi chiede se voglio una foto. Ringrazio e declino, mi basta quella della bici, mi basta sapere di essere qui.
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Non mi resta che coprirmi, scendere nuovamente a Varese e, finalmente, trovare un posto per fare colazione, prima di prendere il treno e fare ritorno a casa… Anche io con una storia da raccontare.

Come fatto per la Super Randonnée Stelvio E-Retica, ecco il riassunto di questa avventura in stile La Giornata Tipo (chi segue il basket capirà):

– Partito con sonno, scalato Consonno, arrivato con (poco) senno
– Come può essere così dura una salita che prende il suo nome dall’unione di due parole come Valle e Cava? Questo è un inganno bello e buono!
– Ma Berbenno è stato coniato da un balbuziente?!
– Vuoi non fare una pedalata sulle Zamblas?
– Le domande classiche della moglie quando torni con la spesa: hai preso il detersivo? Hai preso il dentifricio? Hai Presolana?
– Mi sento proprio a casa: sul Vivione c’è la scighera Milanese anni ’80
– Eppure ero certo che nel continente Apricano facesse caldo
– Tra San Marco e San Pietro, sono un po’ al Culmine
– Colma e Rasa sono due buone definizioni della mia voglia di affrontare altre salite
– Esisterà un vaccino per questo Morbio?
– Ma se Marzio era uno dei sette re di Roma, si può sapere che diamine ci fa in provincia di Varese?!
– No grazie, non voglio una mia foto. Ho dormito 6 ore negli ultimi due giorni e percorso 600Km, non credo di avere una bella cera

Partito da Parabiago nel cuore della notte, giunto a Campo dei fiori dopo 611km, 53 ore, 50 minuti, 13.4000 metri di dislivello, tanta fatica e ricordi indelebili. Questa è stata la mia Lombardia Extreme.

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