TransalpRando 2023

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DISTANZA:
1200Km
DISLIVELLO:
11500m D+
PARTENZA / ARRIVO:
Verona (VR)
Vedi mappa

SALITE AFFRONTATE:
– Passo San Giovanni (270m)
– Gailbergsattel (981m)
– Kosmacev Preval (860m)
– Krnica (637m)
– Kosmacev Preval (860m)
– Sella Nevea (1162m)
– Passo Monte Croce Carnico (1357m)
– Kartitscher Sattel (1530m)
– Passo Cimabanche (1530m)
– Tisoi (562m)
– Casiominore (474m)
– Colognola ai Colli (204m)
– San Briccio (198m)

PolliceSu
– Percorso ben studiato e testato in ogni suo dettaglio volto alla valorizzazione dell’ambiente e del territorio
– Ristori e dormitori in generale ben organizzati
– Massima disponibilità di organizzatori e staff
– Servizio bag drop impeccabile
– Come già rilevato in altre manifestazioni, ottima soluzione di far coincidere uno o più punti di controllo con strutture ricettive (alberghi) così da dare la possibilità ai partecipanti di prendere una stanza
PolliceGiu
– Alcuni passaggi su ciclabili forse da riconsiderare in base all’ora di transito dei partecipanti (anche se l’intento è chiaro fosse quello di tenere le persone in sicurezza lontane dal traffico)

Le gambe sono ancora affaticate dal 600 di pochi giorni fa, ma proprio le buone sensazioni avute durante la Milano – Genova – Torino – Milano, mi spingono, all’ultimo giorno disponibile, ad iscrivermi alla TransalpRando 2023.

I programmi di fine 2022 prevedevano di partecipare alla manifestazione con Claudia, spinti dalla bella esperienza alla Verona – Resia – Verona e dalla voglia di scoprire luoghi nuovi. Purtroppo, in un 2023 nel quale nulla è andato come avevamo preventivato, anche questo non è stato possibile, così a Verona mi ritrovo con il Capitano Beppe, dopo l’esperienza vissuta insieme in Alpi4000 e il milachiavarese Pietro.

Durante le lunghe e uggiose giornate d’inverno, avevo già studiato il percorso della TransalpRando, ipotizzando tappe e tempi. Beppe non è stato da meno, snocciolandomi il suo programma scritto a mano, degno di un atto di successione in carta bollata. La cosa assurda è che, nonostante l’abisso tra la sua meticolosità e il mio pressapochismo, i due programmi sostanzialmente coincidono.

Intendiamoci: in prove di così lunga distanza penso che studiare a dovere il percorso sia fondamentale, provando a ipotizzare in linea di massima i tempi di passaggio. Allo stesso momento però, il programma non può essere un vincolo imprescindibile, in quanto ci sono troppe incognite: il meteo, la condizione psico-fisica, gli imprevisti. Insomma deve essere un fine lavoro di taglio e cucito tra ciò che ipotizziamo su carta e quello che viviamo su sella. 

GIRO DI VITE…

Mercoledì 24 maggio è tutto pronto: zaino con le due sacche dei bag drop già suddivise, borsa da manubrio, borsa sottosella da bikepacking, copertone di scorta sulla forcella e copertone nuovo di zecca montato sulla ruota anteriore vista una recente foratura.

In pochi chilometri sui pedali, raggiungo la stazione di Gallarate dove un treno mi porta a Milano. Altro microgiro per traghettarmi dalla stazione di Porta Garibaldi alla stazione Centrale dove mi attende il convoglio per Verona. Sono ormai a 20 metri dall’ingresso della stazione, quando un rumore sinistro dalla ruota posteriore attira la mia attenzione. Una vite si è infilata dritta nel copertone, ovviamente bucando la camera d’aria e creando un discreto squarcio nella gomma. Ma è mai possibile?! E’ una maledizione!
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Visto che sono in anticipo, opto per sostituire il copertone squarciato con quello di scorta, mentre Claudia dalla “cabina di regia” mi manda l’indirizzo di una ciclofficina a poche centinaia di metri dalla stazione di Verona. All’arrivo riesco così a farmi gonfiare la ruota alla giusta pressione e a munirmi di un altro copertone di scorta che va in sostituzione di quello squarciato. Non si sa mai…

Raggiungo Montorio, centro nevralgico della manifestazione, verso le 17, tranquillamente in tempo per salutare i prossimi compagni di viaggio, vari amici che non vedo da tempo, mettere qualcosa nello stomaco, completare le procedure di iscrizione e impacchettare le due sacche che ritroverò lungo il percorso.
Alle 18.45 ci avviamo compatti verso l’Arena di Verona, dove alle 20.30 verrà dato il via ufficiale.

SI PARTE!

Partire dall’Arena, al cospetto del sindaco Scaligero, è una cornice che valorizza il grande lavoro degli organizzatori. Spesso chi partecipa a queste manifestazioni, da tutto per scontato, ma sono certo che dietro a ogni singola iniziativa, ci sia tanto lavoro.
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Siamo tutti smaniosi di partire. Un po’ per sciogliere la tensione che inevitabilmente si sente nella pancia e un po’ perché il cielo sopra i nostri caschetti non promette nulla di buono.

Giusto il tempo di avviarci ed ecco che un vento minaccioso prende a sbuffarci in faccia. Di lì a poco arriva la pioggia e la temperatura cala drasticamente. I piedi sono presto zuppi. Alla spicciolata ci fermiamo per coprirci con mantelline, copriscarpe e guanti: sarà una lunga notte. Già perché inevitabilmente, partendo la sera, è difficile ipotizzare di potersi fermare a dormire la prima notte.

Ripartiamo da Caprino Veronese, primo controllo al km38, dopo un caffè che beviamo con l’intento di scacciare freddo e sonno. Il tratto lungo la costa orientale del lago di Garda è l’unica strada “principale” che percorriamo. Nel resto del percorso ci manteniamo per lo più su ciclabili e strade a basso traffico.
Pietro ha un passo troppo elevato per noi, così sul drittone del Passo San Giovanni che ci fa salutare il lago, lo perdiamo definitivamente di vista.

L’itinerario riporta alla memoria la Verona – Resia – Verona e che, come quella stessa manifestazione, non tutti colgono appieno. Pedalare lontano dal traffico e dai rischi che ne conseguono, personalmente lo ritengo un valore aggiunto. Il rovescio della medaglia è che, soprattutto la notte, lungo le ciclabili bisogna mantenere la massima attenzione. Svolte destra – sinistra, ponti, pali, strettoie sono la normalità e senza la giusta concentrazione si rischiano cadute banali, ma non prive di conseguenze. Con la pioggia tutto ciò viene amplificato.
Proprio in un passaggio su un ponte di legno con una traversina di metallo bagnata, il Capitano perde il controllo della bici. Come un funambolo riesce a rimanere in piedi, ma sulla bici si storta le leva del freno anteriore, guastando la molla che la richiama dopo la frenata. Per tutto il resto della TransalpRando sarà costretto a spingere in avanti la leva con la mano.

A Faedo, secondo punto di controllo, abbiamo percorso 155Km. E’ notte fonda e il bicigrill è preso d’assalto da un branco di randagi famelici. Qui ritroviamo Pietro, mentre Fausto, da uomo d’altri tempi, fa colazione con un abbondante piatto di pasta, birra, caffè e grappa.
La stufa sullo sfondo ci chiama a pieni bracieri, ma sappiamo che è come la sirena con Ulisse: se finissimo tra le sue calde grinfie, non ripartiremmo più. Non ci facciamo legare all’albero della nave, ma rimontiamo in sella e ripartiamo nella notte scura.

Al lago di Caldaro (km190) il cielo comincia a schiarire. Le ultime sfinite gocce di pioggia ci fanno alzare lo sguardo su un cielo bigio e malinconico.
Al Capitano Beppe, il nuovo giorno porta la prima foratura. Ne approfittiamo per una veloce sosta mentre sostituisce la camera d’aria.
Raggiungiamo il controllo di Chiusa dopo 230km, dei quali gli ultimi 30 segnati da un interminabile e logorante falsopiano a salire. Ripartiamo rapidamente, anche perché il ristoro non ha prezzi proprio convenzionati e raggiungiamo Villabassa (Km 306) sempre in costante ascesa. Qui il ristoro è tutta un’altra musica e ci rifocilliamo a dovere. Troviamo anche il primo bag drop, così ne approfitto per cambiare le calze, ancora fradice dalla notte. Il cielo intanto si lascia trafiggere dai raggi del sole, che finalmente ci scaldano dopo le tante ore al freddo.

Qualcuno appare già piuttosto provato e decide di fermarsi per qualche ora di riposo. Il nostro piano invece prevede di tirare dritti ancora per un po’, anche perché la tappa successiva di 76Km che ci porta in Austria a Oberdrauburg, non presenta difficoltà altimetriche.

Gli ultimi 100Km di giornata si fanno invece sentire: siamo in sella ormai da 24 ore e, dopo aver superato il Gailbergsattel (981m) e raggiunto in discesa Kötschach-Mauten, imbocchiamo la ciclabile del Gail prima e quella dell’Alpe Adria poi che, in sensibile salita, ci porta verso il confine Italiano.
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Cala nuovamente il buio e la traccia che seguiamo alla dogana italo – austriaca ci mantiene sulla ciclabile con ramponi improvvisi che arrivano fino al 18%! In questo caso, forse, sarebbe stato più saggio farci percorrere la strada principale fino a Coccau, per poi riallacciarci alla ciclovia.
Quegli strappi improvvisi e inaspettati, visto che per lo più vengono percorsi col buio, colgono di sorpresa e risultano indigesti a diversi ciclisti che più di una volta sono costretti a sganciare il pedale e mettere il piede a terra. Ma chi la userà mai una ciclabile del genere?!?

I continui saliscendi sembrano spostare Fusine sempre più in là. Siamo stanchi, affamati, scarichi, ma finalmente, dopo 480Km interrotti solo dalle soste ai controlli, raggiungiamo l’agognato check point che segna finalmente la fine delle nostre fatiche. La gentilezza e disponibilità dello staff, l’ottimo cibo, le docce calde, il bag drop e i letti confortevoli, hanno tutte le carte in regola per permetterci di ricaricare le batterie e ripartire domattina all’alba. Sveglia puntata alle 3.45…

“VI SVEGLIO IO MEZZ’ORA PRIMA DI ORTISEI…”

Prendo in prestito la citazione del Rag. Filini nel film “Fantozzi contro tutti”, perché rappresenta bene quello che ci accade. In realtà, prima di coricarmi, avevo ribadito di non lasciare solo a me l’onere della sveglia, perché rischiavo di spegnerla e riaddormentarmi. Esattamente quello accade!

Riapro gli occhi che sono “già” le 4.30, ben 45′ di ritardo sulla nostra tabella di marcia. Chiamo al volo il Capitano, mentre ci rendiamo presto conto che Pietro, probabilmente non vedendoci, si è già avviato lungo il percorso.

Partiamo anche noi in sensibile ritardo. Varchiamo il confine Italo – Sloveno e ben presto iniziamo la salita che porta agli 860m di Kosmacev Preval. Rapidamente ci copriamo e ci lanciamo in discesa, ma sul primo tornante odo un nuovo sibilo, del tutto simile a quello già sentito davanti alla Stazione Centrale di Milano. Ruota anteriore a terra e copertone tagliato lateralmente.
Il Capitano, che si trovava davanti, non si rende conto del mio imprevisto e risultano vane le mie grida per attirare la sua attenzione. Lo chiamo sul cellulare, ma un messaggio registrato mi notifica che il suo telefono non è abilitato a ricevere chiamate o messaggi all’estero. A quel punto posso solo augurarmi di ritrovarci a Ljubljana, anche perché una volta raggiunta la capitale Slovena, il percorso prevede di rientrare in Italia sulla medesima strada, quindi dovremmo forzatamente incontrarci. Prima o poi.

Analizzo il problema alla ruota e mi rendo conto come un pattino anteriore lavori male creando attrito sul copertone quando freno. Questo porta all’usura dello stesso e alla conseguente foratura. Sostituisco il copertone con quello recuperato a Verona (fortuna che lo avevo!) e la camera d’aria. Ne consegue una decisione drastica: d’ora in poi non userò più il freno anteriore, se non per estrema necessità. Riassumendo: Capitano con leva del freno che non rientra, io con leva del freno inservibile. Il malocchio del freno!

Riparto dopo la sosta forzata e le pedalate sono rabbiose, cattive. C’è dietro una sorta di protesta interiore: contro questo 2023 nel quale nulla è andato per il verso giusto, contro un destino avverso, contro un fato che non perde occasione per porre un nuovo ostacolo sul cammino. Mentre divoro l’asfalto davanti agli occhi vedo passare le immagini degli ultimi mesi, tutto quello che ho e abbiamo vissuto. Pedalo ancora più forte, nell’intento di staccare e lasciarmi tutto alle spalle.
Raggiungo Ljubljana dando tutto quello che ho e, anche se al momento non me ne rendo conto, è la chiave di svolta di questa avventura.
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Arrivo praticamente insieme a Beppe e, dopo esserci ragguagliati sull’accaduto e aver messo qualcosa nello stomaco, ripartiamo in direzione inversa.
Gli strappi, già ostici con le rampe in doppia cifra dell’andata, se possibile sono ancora peggiori al ritorno. In una di queste il garmin segna un poco confortante 21% di pendenza!

Eccoci di nuovo a Fusine. 207Km oggi sono già alle spalle (687 totali). Il nostro piano prevede di percorre altri 100Km fino al controllo successivo di Timau. Qui il check point coincide con un hotel, dove abbiamo prenotato una stanza per la notte. Alcuni colleghi, sentito il nostro piano, ci ammoniscono sul fatto che fermandoci a Timau non saremmo mai arrivati al traguardo nelle 90 ore del BRM.
Personalmente credo invece che non abbia alcun senso proseguire oltre: abbiamo studiato il percorso più volte, siamo certi di riuscire a stare nei tempi nonostante il ritardo di questa mattina, senza dimenticare che proseguire vorrebbe dire sobbarcarsi la scalata del passo di Monte Croce Carnico in piena notte, per poi ritrovarsi in Austria senza alcun posto per riposare qualche ora.
Ce la caviamo con un indifferente “Va beh, se non staremo nelle 90 ore del BRM, arriveremo nelle 110 del BRI“.

Ripartiamo e con noi si accoda Colin Fisher. Ci conosciamo poco, ma andiamo subito d’accordo. Inizialmente è anche lui dell’idea di non fermarsi a Timau e proseguire, ma quando sente la stanchezza tambureggiare nelle gambe, l’ora che si fa tarda e i lampi all’orizzonte, cambia idea. Gli proponiamo così di riposare in stanza con noi. L’albergo ci conferma la disponibilità, spazzando via ogni problema.
E’ una caratteristica di queste prove quella di rivedere i propri piani a seconda del momento.
Per inciso: molti che volevano proseguire oltre Timau, si ritroveranno poi a riposare con delle “soluzioni di fortuna” lungo la strada. Personalmente rimango dell’idea, magari opinabile, che le poche ore di sonno devono essere riposanti, altrimenti perdono il loro senso. A volte incaponirsi a voler andare avanti a ogni costo e condizione, non è la soluzione ottimale.
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Raggiungiamo Timau attorno alle 23, dopo aver superato la bellissima Sella Nevea, aver percorso l’affascinante tratto della ciclabile Alpe Adria lungo una ferrovia dismessa e aver evitato, non sappiamo bene come, un mega temporale che ci ha tenuto compagnia con tuoni e lampi fino all’arrivo, ma senza bagnarci.

FINALMENTE RIUSCII A RIVEDER LE STELLE

Ripartiamo di buon’ora dall’hotel, dopo 4 ore di vero riposo e un buon caffè. La strada ci scalda da subito perché ci porta ai 1357m del passo di Monte Croce Carnico.

Scendiamo nuovamente in Austria e, dopo un breve tratto di fondovalle, riprendiamo a salire. L’ascesa che porta ai 1530m del Kartitscher Sattel sale a strappi, a gradoni. Prendo qualche centinaia di metri di vantaggio sul Capitano e Colin e mi immergo nei ricordi.

Passai da questa stessa strada diversi anni fa, durante un mio viaggi tra le Alpi. Quel giorno era una giornata grigia, ogni tanto pioveva e ricordo distintamente che il mio umore e il mio stato d’animo non erano migliori del tempo. Ero deciso a mollare tutto e tornare a casa. Cambiai idea grazie a due cicloturisti tedeschi che incontrai lungo la strada:
Non ha alcun senso pensare a cosa farai domani. Ora sei sul Kartitscher Sattel, pensa al Kartitscher Sattel! Nella vita è la stessa cosa“.
Forse involontariamente mi diedero un grande insegnamento. Quello di non fare troppi programmi e vivere il momento. Inutile fare una cosa oggi, pensando a quello che potrebbe accadere domani. Avevano ragione. Da quel momento proseguii una pedalata alla volta vivendo il momento, fino a portare a termine quel viaggio fisico e interiore.
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Oggi il cielo è sereno, splende un bel sole e subito mi rendo conto di quante cose siano cambiate e quanta strada abbia fatto nella mia vita da allora, da quel giorno grigio. Tutti i ricordi, le emozioni, le sensazioni, le riverso sui pedali, in quello che si tramuta in un personale e intimo riscatto sociale.

Attendo l’arrivo dei compagni d’avventura, per poi ripartire insieme verso Villabassa.
Ripatiamo dopo aver messo nuovo carburante nello stomaco, ma sulle pedalabili pendenze che portano ai 1530m del passo Cimabanche, Beppe accusa il conto della stanchezza. Provo a rinfrancarlo dicendogli che questo è l’ultimo sforzo e che da qui a Tai di Cadore, sarà tendenzialmente in discesa.

Raggiungiamo il nuovo checkpoint nel pomeriggio, dopo 953Km.
Risaliamo in sella abbastanza rapidamente con l’obbiettivo di raggiungere Feltre e fare il punto della situazione. A parte tre salite brevi e pedalabili, la tappa non presenta grosse difficoltà, così completiamo il nuovo settore verso le 20.
Dopo un breve conciliabolo siamo dell’idea che, nonostante la stanchezza, non abbia senso fermarsi ora. Così ci rimettiamo in marcia, destinazione Creazzo. A noi si unisce anche Salvatore, formando così una scapestrato quartetto.
Anche questa frazione non presenta grosse difficoltà altimetriche. L’ostacolo più insidioso, lungo le silenziose, solitarie e buie strade di campagna, è il sonno che di tanto in tanto tambureggia sui nostri occhi gonfi.

Corre in nostro aiuto Andrea Scalco, dei Randagi Veneti, che si palesa davanti a noi sorridente con un ristoro a sorpresa e non previsto. E’ una visione graditissima che ci risveglia e ci emoziona.
Non è per niente scontato infatti che una persona decida di sacrificare il suo tempo e le sue ore di sonno per dei perfetti estranei. Grazie di cuore Andrea!
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Raggiungere Creazzo ora, è una pura formalità.
Mancano solo 60Km al traguardo e io sarei dell’idea di completarli e levarceli dai piedi. I miei compagni d’avventura sentono però il peso della stanchezza. Quando gli organizzatori ci dicono di avere giusto giusto 4 brandine, abbiamo la sensazione che siano state messe lì apposta per noi, così decidiamo di beneficiarne per un’ora.
Ripartire dopo una sola ora di sonno è abbastanza complicato, ma la voglia di raggiungere il traguardo ci da la spinta per risalire in sella.

Ben presto il cielo comincia a schiarire sopra i nostri caschetti, mentre isolate strade di campagna si snodano veloci verso Verona. Perdo il conto delle lepri che vedo zompettare  a bordo strada e tutto mi sembra improvvisamente avvolto da un’aurea quasi magica e fatata. Le due colline che restano da scalare sono tanto dure quanto affascinanti paesaggisticamente.

Montorio si materializza a sorpresa davanti a noi e in quel sorriso che ne scaturisce c’è tutta la sorpresa per qualcosa di inaspettato, sul quale avevo messo una pietra sopra e perso ogni speranza. La foto col Capitano, Colin e Salvatore è un ricordo indelebile che mi emozionerà per molto tempo.
‘E finalmente riuscii a riveder le stelle’.
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