Alpi4000

DISTANZA:
1.440Km 
DISLIVELLO:
20.000m D+
PARTENZA / ARRIVO:
Bormio (SO)
Vedi mappa

SALITE AFFRONTATE:
– Passo Gavia (2621m)
– Mortirolo (1852m)
– Ghisallo (758m)
– Oropa (1159m)
– Colle del Nivolet (2612m)
– Colle delle Finestre (2178m)
– Passo del Sestriere (2035m)
– Passo Santa Croce (359m)
– Passo Tre Termini (679m)
– Cocca di Lodrino (653m)
– Sella di Preone (692m)
– Passo San Rocco (946m)
– Vesio di Tremosine (630m)
– Andalo (1040m)
– Passo Palade (1518m)
– Passo dello Stelvio (2758m)

PolliceSu
– Persone ai check point/partenza/arrivo sempre disponibili, gentili e sorridenti
– Ristori volanti fornitissimi
– Collocare un controllo/ristoro/dormitorio in un hotel dando la possibilità di prendere una camera a prezzo convenzionato è stato utilissimo
– Ristori in generale ottimi
– Inserire nel percorso il Colle delle Finestre è stato un bel rischio, ma è risultato fattibilissimo e spettacolare

PolliceGiu
– La traccia nella parte Piemontese non era stata provata. Diverse svolte pericolose e sensi vietati. In particolare l’uscita dal lago di Viverone era improponibile e pericolosa. Credo quasi tutti l’abbiano fatta a piedi
– La tappa che attraversava la Brianza e Bergamasca era molto trafficata (anche se non so quanto sia evitabile)


VALUTAZIONE COMPLESSIVA
4

1440 Km e 20.000 metri di dislivello sono numeri sufficienti per porsi una domanda: perché?
Perché cimentarsi in questo infinito cardiogramma, su e giù per le Alpi?
Ognuno ha il suo motivo, anche perché senza quello, non si arriva in fondo. Per quanto preparati, le gambe prima o poi smetteranno di girare, le energie verranno meno, la fatica investirà i muscoli come nuvoloni neri durante un temporale estivo. 

Avevo già preso parte alla prima edizione di Alpi4000 e sinceramente la mia intenzione era di cimentarmi in qualcosa di diverso quest’anno. Poi i ricordi di quella prima, scapestrata e tragicomica esperienza sono riaffiorati come brividi su pelle. Mi sono accorto che, arrivare nuovamente al traguardo, avrebbe significato tanto: un modo per chiudere un cerchio lungo 4 anni e iniziare a disegnarne uno più grande. Ripartire da quella dedica lanciata nel cielo notturno e accorgersi che quel fuoco brucia dentro ancora oggi.
Da quel traguardo è cambiato tutto, la mia intera vita. Mai ci avrei creduto. Quattro anni più tardi ho la possibilità di dire ancora “grazie” a colpi di pedale. 

Così, venerdì 24 giugno, mi ritrovo in stazione Centrale a Milano. Destinazione Tirano. Il treno guasto e il sostitutivo guasto, non mi stupiscono: sembra quasi un rito di iniziazione da superare ogni volta per entrare in Valtellina. Forse un’ultima possibilità di fermarsi e tornare indietro. Punto di non ritorno.
Al terzo tentativo il convoglio si mette stancamente in marcia e io mi ritrovo in compagnia di Stefano, con cui avevo percorso i primi due giorni della prima edizione. I ricordi viaggiano con noi sui binari e ci rincorrono tra sorrisi e timori per quello che ci aspetta. A Tirano ci salutiamo dandoci appuntamento alla partenza.
I 40Km che mi separano da Bormio li percorro in bici, seguendo il Sentiero Valtellina, assorto nei miei pensieri, cercando inutilmente di convincermi di aver fatto tutto il possibile per arrivare preparato a questo appuntamento. 

A Bormio arrivo a metà pomeriggio, giusto il tempo di preparare e consegnare la borsa del bag drop che troverò due volte lungo il percorso, apporre il cartellino sulla bici, sistemare i pochi bagagli, firmare il tabellone e incontrare Giuseppe, Mr. Super Randonnée, con cui proverò a percorrere questi 1440Km. Questa è la prima, grande, novità: nelle mie precedenti esperienze su distanze importanti non sono mai partito con qualcuno. Ho sempre preferito andare da solo o trovare compagni di sventura lungo la strada.
Giuseppe è al suo primo over1000, ma ha molta esperienza su un’infinità di 600 estremi e so che ha tutte le carte in regola per farcela. Quando ci siamo sentiti, siamo stati chiari: partiamo insieme, ma senza alcun obbligo. Come sempre sarà la strada a decidere.
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Altri amici randagi giungono nel mentre alla spicciolata, mentre dal cielo iniziano a scendere lacrime sempre più copiose. A cena mi ritrovo con Giuseppe e Paolo, una sorta di ultima riunione, prima di ritirarci nelle rispettive camere d’albergo, mentre fuori la pioggia scandisce il tempo, sotto un cielo ancora chiaro.

SI PARTE!

Il ritrovo è fissato alle 5.40 davanti all’albergo di Giuseppe. L’aria è pungente, l’asfalto porta ancora i segni della pioggia notturna, ma il cielo è sereno e lascia intendere che sarà una bella e calda giornata.
La bici è carica con il minimo indispensabile: abbiamo programmato di passare da Rescaldina in serata, dove troveremo il primo bag drop; perciò, è inutile portasi dietro ora tutto il carico. La borsa anteriore e una piccola borsa da telaio sono tutto il mio bagaglio.

Alle 6 timbriamo, si parte, buona strada! L’eccitazione e il nervosismo dei partecipanti è palpabile, ma giunti a Santa Caterina di Valfurva cala un religioso silenzio. Si inizia a salire verso i 2652m del Passo Gavia. Il cielo è sgombro da nuvole e il sole si leva rapidamente dietro le creste delle montagne. Io e Beppe saliamo di buona lena, ma senza strafare. Ce ne rendiamo conto dal fatto che non ci sorpassa nessuno durante la lunga ascesa, mentre qualche ciclista lo lasciamo alle spalle. Al Rifugio Bonetta, in uno spettacolo senza pari, è posto il primo check point. Scansioniamo il QR Code, caffè, crostata, ci copriamo e ripartiamo in discesa. A Monno, dopo una breve sosta per toglierci la mantellina, attacchiamo col Mortirolo. Non sarà il più noto e temuto versante di Mazzo, ma anche da questo lato fa comunque faticare.
In vetta è posto il secondo controllo e il primo, fornitissimo, ristoro, dove passiamo dal dolce al salato senza alcuna logica.

Rifocillati, ci rimettiamo in marcia prendendo la bella strada che porta a Trivigno. Una piacevole scoperta: traffico praticamente inesistente e sede stradale che rimane in quota tra boschi e scorci suggestivi.
La strada si ricongiunge poi con il Passo dell’Aprica, dove veniamo riportati nella mondanità. Scendiamo a Tresenda e imbocchiamo il Sentiero Valtellina che ci tiene lontani dal traffico.
Un fastidioso vento contrario inizia a soffiarci in faccia e, se da un lato ci fa percepire meno il caldo torrido, dall’altro ci fa faticare non poco. Ci accodiamo a un piccolo gruppetto dove riconosciamo Fulvio, in arte Ciclofachiro, con il quale dividiamo chilometri e fatica alternandoci in testa. Manteniamo una discreta andatura e, ben prima del previsto, raggiungiamo Varenna dove ci attende il traghetto.
Dobbiamo aspettare 20’ per l’imbarco così ci tuffiamo in un nuovo splendido ristoro dove passiamo casualmente dalla focaccia, alla crostata, alla frutta.

Il traghetto si mette in marcia e in pochi minuti raggiungiamo Bellagio, dove ad attenderci ci sono le rampe del Ghisallo, che scaliamo rapidamente grazie al carburante del ristoro.
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La lunga planata verso la Brianza e gli ultimi saliscendi, sono quello che rimangono per raggiungere Rescaldina.
Abbiamo percorso 264Km e circa 4000m di dislivello. Gran parte dei partecipanti si fermeranno qui stanotte, mentre il mio piano, proposto a Giuseppe, prevede di proseguire ad oltranza. So che è un azzardo, ma sono certo che portarci avanti un po’ ci permetterebbe di dividere meglio le tappe dei giorni seguenti.
Siamo però in largo anticipo sulla tabella mentale che avevamo fatto. Sicuramente saremo a Biella prima delle 4.30 programmate. Decidiamo quindi che, ogni minuto di anticipo sulla tabella di marcia, lo sfrutteremo per dormire, una volta raggiunto il controllo.

Dopo aver messo qualcosa sotto i denti, ripartiamo mentre il cielo volge all’imbrunire. A noi si unisce Alessandro, friulano della squadra dei Draghi.
La traccia passa a soli 4km da casa e la tentazione di passare a salutare Claudia è forte, ma devo rimanere concentrato e non far sprecare energie inutili a Beppe, che comincia ad accusare la stanchezza delle tante ore in sella.
La tappa notturna, a parte gli strappetti delle colline Novaresi e l’infinito falsopiano a salire per raggiungere Biella, non presenta difficoltà. Sul piatto riesco a tenere un buon ritmo, mentre Beppe e Alessandro patiscono un po’. Raggiungiamo Biella in piena notte dopo 350Km e decidiamo di sfruttare le 2h e 30’ di margine che abbiamo accumulato per riposare. In realtà è solo una speranza, un sogno astratto, perché chiudere occhio nel dormitorio è praticamente impossibile tra chi arriva, chi parte, chi russa, chi fa suonare la sveglia, chi piega il sacco termico, chi fa avanti e indietro all’infinito come un marito in sala d’attesa mentre la moglie sta partorendo.

LA CRISI DEL SECONDO GIORNO

Innervositi e forse più stanchi di prima, verso le 4 ci rimettiamo in marcia. Alessandro dice invece che preferisce provare a riposare un po’ di più e ci saluta.
Purtroppo non possiamo far colazione perché il bar del check point è chiuso. Non ci resta quindi che avviarci verso Oropa, salita resa mitica dall’impresa di Pantani.

Prendiamo quota mentre il sole sorge e, giunti a 1159m d’altitudine, ci ritroviamo al cospetto del Santuario dove è posto un nuovo punto di controllo.
La strada prosegue mantenendosi in quota e riservandoci il tratto di sterrato del Tracciolino. Nella prima edizione avevo percorso la medesima strada in senso opposto.

Finalmente scendiamo con l’obbiettivo di trovare un bar per far colazione. Beppe fatica a starmi a ruota sul piatto e ha bisogno di fermarsi. Raggiunto il bar per colazione, mi dice di andare avanti e che ci ritroveremo la sera per poi riprendere insieme. Ci guardiamo e sappiamo entrambi che in quel momento è la cosa giusta da fare. Ci salutiamo tristemente, non dicendoci addio, ma arrivederci.

Eccomi da solo, mentre la strada prende via via a salire verso la Valle dell’Orco, un nome una garanzia! A Cuorgnè l’ascesa si fa più sensibile, fino a raggiungere i 1062m di Noasca. Qui il falsopiano, più o meno impegnativo, si esaurisce e si tramuta in salita vera. Le gambe sembrano girare bene, ma mentre affronto i primi tornanti, mi sento improvvisamente svuotato di ogni energia. In pochi minuti è crisi. Fatico all’inverosimile, sudando da ogni poro. Le gambe girano a vuoto, il fiato è corto e le pendenze sembrano respingermi. Stringo i denti, con il solo obbiettivo di arrivare al controllo di Ceresole Reale. Nel duro tratto in doppia cifra che evita il lungo tunnel, sono piantato. Ho bisogno di fermarmi. Scendo di sella e percorro 300m a piedi. Un tratto infinito nel quale cerco di racimolare concentrazione ed energie, quelle poche che ormai sento in corpo. Risalgo in sella, proseguo con pedalate disperate. La strada finalmente spiana in prossimità del lago, ma la spia della riserva è accesa.
Davanti a me una montagna infinita, nuvoloni minacciosi e vento gelido. Mostri da affrontare senza alcuna forza.
Un panino, una fetta di crostata e due coca cola, sono quello che ingerisco sperando di trovare nuove risorse. Mi siedo sconsolato, poggiando le mani tremanti sulle ginocchia. “Ok Ivan, aspetta: devi solo ritrovare un po’ di energie prima di ripartire”. È in quel momento che arriva Beppe, stupito nel trovarmi lì. Capisce il mio momento di difficoltà, ma è categorico: “Andiamo”, “Non ce la faccio”, “Sta per piovere, fa freddo, stare qui non serve a niente, andiamo!”.

Eccoci di nuovo insieme dopo pochi chilometri di lontananza. Mi accodo alla sua ruota e rimango lì, cercando di tenere sotto controllo il respiro, lo sforzo, il logorio. Metro dopo metro saliamo di quota e pedalata dopo pedalata, sento le gambe dare segni di vita. Negli ultimi 3Km mi sono completamente ripreso e riesco di nuovo a sorridere.
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Arriviamo insieme ai 2612m del Colle del Nivolet, una salita spettacolare! Purtroppo, il meteo non rende giustizia al luogo, con nuvoloni che avvolgono le vette e sembrano pronti a riversarsi sull’asfalto. 11 miseri gradi e un vento sfrontato ci tagliano il viso. Ci copriamo in fretta e ci gettiamo in discesa, dove incrociamo tanti amici randagi pronti a “scalare le nuvole”.

A Cuorgnè completiamo il percorso a ritroso e ci dirigiamo verso il Torinese. Sulla carta il tracciato non presenta asperità, ma la saggezza di Beppe viene fuori: “Mancano ancora 1000m di dislivello, da qualche parte dovremo pur farli”. Una serie di strappi e strappetti, più o meno rognosi, si susseguono sotto le ruote, mentre dal cielo cominciano a cadere goccioloni che lasciano grosse macchie sull’asfalto. Ci fermiamo un paio di volte per evitare gli scrosci più impetuosi e intraprendere un curioso rituale: infiliamo la mantellina, smette di piovere; togliamo la mantellina, riprende a piovere.
Raggiungiamo altri 2 partecipanti, mentre un forte piovasco ci bracca a una ventina di chilometri dal traguardo di giornata. Valutiamo se fermarci a mangiare qualcosa, ma in breve spiove. Possiamo così raggiungere il controllo di Bruzolo, non prima della ‘Gufata della mamma’. Entrando in paese, infatti, una giovane mamma dice al suo bambino “Guarda come vanno veloci i ciclisti”. Tempo di finire la frase e mi cade la catena.

Raggiungiamo il check point che è ormai buio. Le bici giacciono stanche nel cortile. Una rapida cena e ci ritiriamo in camera per il meritato riposo. Solo 4 ore, ma ce le faremo bastare. 615Km, non so quanti metri di dislivello e una dura giornata di crisi sono alle spalle. È stato uno sforzo impegnativo, ma anche se ancora non lo sappiamo, sarà la scelta giusta.

UNO SGUARDO DAL FINESTRE

Ripartiamo dopo una buona colazione e in pochi chilometri la strada comincia ad arrampicarsi verso un’altra salita mitica: il Colle delle Finestre!
Inizio ripido, poi la strada prosegue fissa al 9% in una serie di tornanti immersi nel bosco. Il cielo che va schiarendosi sopra i nostri caschetti è triste e grigio. Giunti alla casa cantoniera, dove facciamo rifornimento d’acqua, l’asfalto si esaurisce lasciando spazio ai leggendari 8Km di sterrato. Ogni partecipante li teme, ma la pioggia del giorno prima ha compattato il fondo argilloso rendendolo pedalabile senza alcun problema. Tornante dopo tornante si scopre un ambiente regale e maestoso, anche se la foschia e le nuvole non ci permettono di gustarlo appieno.
L’ultimo curvone sterrato segna la fine delle fatiche, a quota 2178m. Arrivo in cima, Beppe segue di lì a poco. Foto di rito, ci copriamo e siamo pronti a gettarci in discesa. Un po’ per non prendere freddo visti i 10° al passo e un po’ perché stiamo già sognando la colazione che faremo una volta giunti al Colle del Sestriere.
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Arrivati in Val Chisone le pendenze favorevoli si esauriscono e l’asfalto riprende gradualmente a salire. Rispetto al colle delle Finestre, la salita al Sestriere è tutt’altra cosa, ma a metterci in difficoltà è più che altro il clima, passato in pochi chilometri dai 10 ai 22 gradi. Raggiungiamo i 2035m del Colle del Sestriere, dove ci prendiamo una meritata pausa con caffè, crostata, coca cola e focaccia.

A Cesana Torinese svanisce la veloce discesa e nel tratto di 10Km fino a Oulx, siamo costretti a fronteggiare un forte vento contrario. Ripresa la Val di Susa, le folate si placano e si spostano lateralmente, permettendoci di procedere più agevolmente.

All’ombra della Sacra di San Michele è posto l’arrivo di questa frazione. Giungiamo al check point verso le 13, giusto per l’ora di pranzo.
Ripartiamo dopo un’ora di pausa, sotto un solleone da capogiro e con una frazione pianeggiante che si srotola sotto le ruote. In alcuni tratti il caldo che si leva dall’asfalto rende l’aria irrespirabile e le borracce si svuotano quasi fossero bucate. L’ambiente che attraversiamo non ci aiuta: spesso ci ritroviamo su lunghi e inespressivi stradoni che non destano alcun interesse. L’unica eccezione è il passaggio da Venaria Reale, dove nella scorsa edizione era posto un punto di controllo.

Sopraffatti dal caldo, raggiungiamo il lago di Viverone che costeggiamo per buona parte del suo perimetro, fino a raggiungere il nuovo punto di controllo.
Il tempo di mettere qualcosa sotto i denti e siamo pronti nuovamente a metterci in marcia, questa volta con una temperatura decisamente più gradevole. Nel breve momento di pausa, riusciamo a fare un piano per la notte: arrivare a Rescaldina dove ci saranno parecchie persone vorrebbe dire non riposare, così prenotiamo una camera 30Km prima dell’arrivo di tappa, in modo da ritagliarci qualche ora di riposo degno di questo nome.

Purtroppo, le tracce di questa parte di percorso non sono state provate, con il risultato di ritrovarci su un’impervia salita in ciottolato al 18% e una discesa da MTB con dei crateri al posto delle buche. Siamo costretti, come quasi tutti i partecipanti, a percorrere questo tratto a piedi, lanciando epiteti irripetibili nell’aria calda dell’estate.
Il cielo si fa scuro, quando dalle retrovie ci raggiungono Sascha e altri randonnéurs. Ritrovarmi col compagno di avventura della 1001Miglia è un autentico tuffo nel passato e in pochi metri ritroviamo quella sintonia di un anno prima: ci alterniamo in testa mantenendo una velocità di crociera sempre abbondantemente sopra i 30Km/h. Chiedo a Giuseppe di avvisarmi se dovesse sentirsi in difficoltà, di modo da staccarci e rallentare. Mr. SuperRandonnée invece stringe i denti e dà anche il suo contributo in testa al plotone, spingendo a fondo sui pedali.

Alla partenza avevo pensato di dire a Sascha se voleva percorre insieme anche Alpi4000, ma temevo che il suo ritmo potesse causare problemi a Giuseppe, così ho preferito evitare. Trovarci tutti e tre insieme lungo la strada è stata una bella sorpresa!
Raggiungiamo la nostra dimora verso le 23, mentre Sascha e gli altri del gruppo proseguiranno fino al punto di controllo di Rescaldina.
Il tempo di una doccia e ci corichiamo. Partenza fissata alle 4. A Rescaldina faremo colazione. Km percorsi 905.

DALLA PIANURA, AI LAGHI A NUOVE SALITE

A Rescaldina, che raggiungiamo intorno alle 5.30, ci attende un gran bel panino che divoriamo per colazione. La scelta di dormire in albergo pochi chilometri prima del punto di controllo è stata quella giusta, come ci confermano gli occhi assonnati e scavati degli altri randagi.
Al check point ci avvertono che in serata/nottata sono previsti forti temporali nella zona del lago di Garda, dove dovremmo arrivare e ci sconsigliano di pedalare la notte. Questo non scombina più di tanto i nostri piani, ma monitoreremo la situazione di controllo in controllo.

La tappa che ci porta a Trescore Balneario non presenta particolari asperità, ma attraversando la Brianza e la Bergamasca, l’ostacolo principale è il traffico che richiede la massima attenzione. Giuseppe accusa il colpo, ma dopo una pausa in pasticceria i suoi occhi ritornano vispi e lucidi.

Raggiungiamo il nuovo check point e, consultate le previsioni meteo, notiamo che intorno alle 15 sul lago d’Iseo è previsto un temporale. Ripartiamo velocemente, convinti di poterci lasciare alle spalle il maltempo. Superiamo il lago di Endine e, giunti sul lago d’Iseo, il cielo non promette nulla di buono. Raggiungiamo rapidamente Toline, dove è posto un check point autogestito, e, con una sosta di soli 10’ nelle gallerie della bella ciclabile, riusciamo a non prendere pioggia. Molti colleghi di sventura invece rimangono bloccati dal maltempo molto più a lungo sull’altra sponda del lago.
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Giunti in vista di Iseo, salutiamo lo specchio d’acqua e prendiamo ad arrampicarci verso la prima di quattro salite. Raggiungiamo i 679m del Passo Tre Termini, al quale fa seguito la Cocca di Lodrino (653m), Sella di Preone (692m) e il terribile Passo San Rocco (942m). Su quest’ultima ascesa le pendenze sono sempre e abbondantemente in doppia cifra. Beppe rimane un po’ attardato, sopraffatto dalla stanchezza e dal sedere che gli dà sempre più noia. Lo attendo in vetta, dove le nostre magliette sudate non hanno bisogno di parole.

All’orizzonte, verso il lago di Garda, il cielo è nero come la pece e di lì a poco le prime gocce di pioggia fanno capolino. Purtroppo per noi, la strada non scende subito, ma si mantiene in quota, con alcuni tratti in salita, fino al lago di Valvestino. In pochi minuti, considerate l’allerta degli organizzatori e la pioggia che va via via aumentando, optiamo di comune accordo di trovare un posto per mangiare, dormire e ripartire la mattina seguente. Purtroppo, di paesi ne incrociamo pochi, spingiamo a fondo sui pedali per evitare il temporale e proseguiamo fino a raggiungere Gargnano, sul lago di Garda. Una rapida scorsa al cellulare, ma di posti per dormire ce ne sono pochi e a prezzi salati. L’ora è ormai tarda e già immagino una nottata sotto l’acqua senza cena e senza sonno. Mi prende un po’ di sconforto, misto a stanchezza. Ci fermiamo davanti a un albergo, ma purtroppo è chiuso. Beppe però nota un numero di telefono attaccato sulla porta. Chiama. In pochi minuti abbiamo una stanza a un prezzo più che onorevole e, cosa ancora più fortunata, esattamente accanto all’hotel c’è un ristorante che, nonostante l’ora di cena inoltrata, ci accoglie. In pochi minuti mi ritrovo quasi incredulo dalla rassegnazione a una pizza fumante, una doccia e un letto.

Siamo sorridenti ora e ci complimentiamo a vicenda per la gestione della giornata e della tappa odierna. Al controllo di Tremosine, mancano 25Km, la metà di salita, ma possono attendere tranquillamente domani. Ci corichiamo dopo aver raggiunto i 1164Km. Il margine che ci separa dal traguardo finale si fa sempre più sottile e siamo abbondantemente nei tempi. L’ultimo segmento odierno, per via della lunghezza (165km), delle condizioni meteo e dell’assenza di punti di appoggio comodi per ristorarsi, metterà a dura prova diversi randonnéurs. Noi ce la siamo cavata egregiamente, aiutati forse da un pizzico di fortuna.

CANYON, LAGHI E IL DILEMMA FINALE

Ripartiamo che è ancora buio, mentre qualche goccia di pioggia ticchetta sui nostri caschetti. Le gallerie della Gardesana Occidentale ci proteggono, ma giunti a Tremosine prendiamo a salire tra le gallerie e i tornanti che ci portano nel bellissimo canyon della Strada della Forra. Uno spettacolo unico! Nel mentre per fortuna la pioggia cessa, ma il cielo rimane minaccioso.

Raggiungiamo i 630m di Vesio dove ci attende una buona colazione e il punto di controllo.
Una rapida discesa ed eccoci a Limone del Garda, dove, vista l’ora mattutina, percorriamo in tutta tranquillità la bella ciclabile sospesa sul lago. Ad Arco imbocchiamo invece la ciclabile del Sarca che, in costante salita e sotto la pioggia, ci porta nelle Gole di Sarche, un altro bellissimo Canyon che mi ricorda prepotentemente le Gole del Verdon francesi. Giuseppe e io ricordiamo di aver percorso questo tratto, in senso inverso, nella Super Randonnée delle Dolomiti, così non può mancare un messaggio di saluto a Fabio che ha ideato il percorso.

La salita prosegue più o meno costante, fino a raggiungere, a quota 1000m, l’azzurrissimo lago di Molveno che costeggiamo per tutto il versante orientale.
È tempo di goderci la meritata discesa che ci accompagna a Spormaggiore, dove ci attende l’ennesimo punto di controllo.
Breve sosta e ci rimettiamo in marcia sotto un sole afoso che inizialmente ci asciuga dalle piogge mattutine, ma poi rende l’aria arida e soffocante.
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La strada prende via via a salire verso Fondo ed è proprio qui, forse ispirato dal paese, che Beppe dice che il suo fondo… schiena, non gli permette più di pedalare. Gli dico di tenere duro, che orami non ci si può fare niente. Il problema è che il dolore lo porta a pedalare male e, in breve tempo, ad avvertire altri fastidi. Dopo chilometri di agonia, decide di brevettare un nuovo sellino, fissando alla bene e meglio sotto le chiappe uno scaldacollo imbottito di uno smanicato.
Mi affianco in salita, lo guardo e sentenzio: “Se sei un vero maschio alfa, quello scaldacollo in discesa te lo metti in faccia”. Scoppiamo a ridere, quanto meno riesco nell’intento di sdrammatizzare il dolore.
A Fondo la strada non smette di salire e, dopo una breve sosta per dissetarci, raggiungiamo il Passo Palade a quota 1518m.

La discesa che porta a Merano, rapida e sinuosa, si esaurisce in fretta e, raggiunta la cittadina, timbriamo per la penultima volta.
Al controllo, che raggiungiamo intorno alle 18, ci ritroviamo nuovamente con Alessandro e Sascha e, davanti a una bibita fresca, decidiamo il da farsi in perfetto stile ‘riunione condominiale Fantozziana’. Le proposte sul banco sono sostanzialmente tre: avvicinarsi il più possibile ai piedi dello Stelvio e cercare una sistemazione per la notte, avvicinarci il più possibile ai piedi dello Stelvio e dormire sotto le stelle in stile randonnéurs, scalare lo Stelvio subito. Faccio presente che Prato allo Stelvio è già a 900m e dormire all’aperto potrebbe risultare indigesto, soprattutto in caso di pioggia.
Il conciliabolo continua, ma alla fine sentenzio che per dormire in giro, tanto vale fare subito lo Stelvio e dormire a Bormio dove c’è il dormitorio. Saggiamente alla fine optiamo per portarci a 10Km dall’inizio della salita e prendere 2 stanze dove trascorrere la notte. Il tempo non manca: il gigante, questa volta, lo scaleremo con la luce.

SOLO LUI ALL’ORIZZONTE

È ancora buio. Appena mettiamo una ruota sull’asfalto, dal cielo comincia a piovere. E dire che doveva essere una bella giornata. A contribuire a bagnarci ci si mettono anche gli idranti dei meleti, come se non bastasse il maltempo. La strada che porta a Prato allo Stelvio non aiuta: uno snervante falsopiano a salire, o come dice più coloritamente Alessandro: “Tu vuoi fare la prestazione, ma lei è bastarda perché ti disarciona quella porca”.

In un modo o nell’altro però non ci lasciamo disarcionare, il cielo si rasserena e noi siamo ai Suoi piedi, come cavalieri al cospetto di un re, il Re Stelvio. Liberi tutti: ognuno del suo passo e ci si vede lassù. Sascha e Alessandro partono di buona lena, io mi avvio del mio passo, ma non mi piace l’idea di lasciare Beppe da solo, che eroicamente stringe i denti, china la testa e viene su. Abbiamo percorso questa avventura insieme e mi piace l’idea di finirla insieme. Non mi allontano più di qualche centinaio di metri e di tanto in tanto mi sporgo sul tornante più sotto per incitarlo. L’ascesa allo Stelvio la vivo come qualcosa di intimo e personale, ho un rapporto particolare con Lui, ma allo stesso tempo non è giusto arrivare lassù da solo, non oggi almeno. Ogni Km che ci lasciamo alle spalle, avviso Beppe ed è così, quasi per magia, che gli ultimi 500m li percorriamo insieme, sotto uno splendido sole. Mi defilo, mi piace che sia lui ad arrivare per primo in vetta. E così è: anche perché, senza che ce ne accorgessimo, Alessandro e Sascha si erano fermati a bere qualcosa di caldo e mangiare una fetta di torta durante l’ascesa.
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L’emozione è forte. Ok, manca la discesa, ma la fine di Alpi4000 è qui. Ci copriamo e ci godiamo la serpentina che rapidamente ci riporta a Bormio, dove carichi di sogni, avevamo preso il via 124 ore fa.
Siamo dei finisher. Sono un finisher, di nuovo e il pensiero non può che tornare là dove tutto è cominciato, 4 anni fa, passati nel tempo di una scalata sullo Stelvio.
Un GRAZIE lo devo alle persone, o meglio alla persona e al quadrupede, che ogni giorno mi sono accanto. Tutto questo, altrimenti, non avrebbe senso.
Un GRAZIE lo devo a Giuseppe: non abbiamo ancora deciso chi dei due era il capitano e chi il gregario, ma la verità è che siamo stati l’uno e l’altro entrambi. La verità è che sei stato un ottimo compagno di viaggio. Un combattente.
(PS Ricordati che in un momento di stanchezza o carenza di ossigeno, hai promesso una cosa…).
GRAZIE anche a tutti gli amici, a tutti i randonnéurs, che ho incontrato lungo la strada e COMPLIMENTI a tutti voi che ce l’avete fatta: il tempo è solo un dettaglio insignificante.
Un ultimo, ma non meno importante, GRAZIE a tutte le persone dello staff e organizzazione che, con il sorriso e la massima disponibilità, ci hanno aiutati, rifocillati e assistiti ad ogni punto di controllo. Spesso si commette l’errore di dare tutto questo per scontato, ma un sorriso in un momento di difficoltà, non lo è mai.