1001 Miglia – Green Reverse

1001M_60

DISTANZA:
1607Km 
DISLIVELLO:
15200m D+
PARTENZA / ARRIVO:
Parabiago (MI). Percorso ad anello.
Vedi mappa

SALITE AFFRONTATE:
Passo Coppi (369m)
Passo della Scoffera (674m)
Passo del Bracco (615m)
Passo del Termine (542m)
Passo del Trebbio (735m)
Passo Radicofoni (684m)
Poggio Evangelista (663m)
Monte Peglia (837m)
Passo la Foce (574m)
Valico Scopetone (533m)
Vallombrosa (1016m)
Passo del Giogo (882m)

DIFFICOLTA’:*
5
TRACCIATO:*
25
PANORAMI:*
4
ORGANIZZAZIONE:*
15

*Valutazioni personali

PREMESSA
Ho percorso la 1001 Miglia in agosto, portandola a termine in 116 ore e 45 minuti (limite massimo 132 ore). Siamo quasi a fine anno e solo ora trovo la forza, il coraggio e la voglia di scrivere quella che è stata la mia esperienza. Ho aspettato, speranzoso che il tempo lenisse l’amaro, il rammarico e quello che, secondo la mia modesta opinione, non ha funzionato e non mi ha fatto apprezzare un evento tanto atteso.
Premetto che mi rendo conto non sia facile organizzare una manifestazione simile e ci tengo subito a dire che non è stato tutto negativo, anzi. Però, la sensazione che ho avuto tagliato il traguardo, è stata quella di delusione e, a 4 mesi di distanza, l’opinione non è cambiata.

Ho pensato tanto se scrivere o no questa pagina. Ho paura di risultare il rompi maroni di turno, quello con la puzza sotto al naso, il brontolone, quello che si deve lamentare per forza di qualcosa. Chi mi conosce un minimo penso sappia come sono fatto e che tendo ad adeguarmi sempre alle situazioni, cercando di prendere tutto con un sorriso o provando a cogliere l’aspetto positivo in ogni occasione.
In questo caso però, mettendo su un piatto della bilancia gli aspetti positivi e sull’altro quelli negativi, l’asticella purtroppo pende dalla seconda parte. Non posso e non voglio neanche ignorare lo sconforto percepito in tanti colleghi di pedale, randonneurs che, a ragione o torto, hanno esternato le loro perplessità. Cercherò di essere il più obbiettivo possibile, ma andiamo per ordine e facciamo un balzo indietro nel tempo al 16 agosto, ore 8.30, a Parabiago….

OPERAZIONI PRELIMINARI
La 1001 Miglia si sarebbe dovuta correre nel 2020. Purtroppo la pandemia ha costretto gli organizzatori a rinviare l’evento, così come tante altre manifestazioni dell’anno. Questo ha contribuito da un lato a far crescere l’attesa e la voglia. Se non altro perché, il rinvio, ha obbligato tutti a rivedere i propri piani spostando e prolungando la preparazione di un anno. Detto così sembra una cosa da niente, ma vi posso assicurare che, almeno per me, non è stato facile. Non mi piace arrivare impreparato a un evento al quale tengo. Questo mi ha costretto a spostare di 365 giorni la preparazione fisica e mentale, coltivando nuove motivazioni. Poi per carità, posso far bene o fallire, ma non voglio ritrovarmi a posteri con il dubbio “Avrei potuto fare meglio, se mi fossi preparato con più impegno“.

La mattina della partenza, sotto un’aria già afosa dalle prime ore, sono previste le operazioni preliminari: verifica dell’iscrizione, del mezzo e della documentazione personale. Viene preventivamente ribadito il divieto di accedere ai non iscritti alla zona di partenza e la scelta di un orario prestabilito per le operazioni, di modo da evitare assembramenti.
Sulla carta il protocollo sembra chiaro e rigidissimo, ma a lato pratico non è proprio così: avrei potuto tranquillamente lasciare a casa la bicicletta, dato che non viene minimamente considerata, il green pass, richiesto per prendere il via, non viene verificato e, per dirla tutta, non mi verrà mai richiesto durante tutta la manifestazione. Alla zona di partenza si può accedere con un’altra persona e da subito mi rammarico di non essere venuto con Claudia che ci teneva ad esserci. In compenso, qualche ora più tardi, alla partenza, verrò redarguito perché ho dimenticato di indossare il braccialetto di carta al polso. “Senza quello non puoi entrare nel circuito“. Certo: potrei non avere il green pass, un mezzo senza freni o con le luci non funzionanti, ma dove vuoi andare se il braccialetto di carta non ce l’hai?

PARTENZA
Espletate in pochi minuti le operazioni preliminari e lasciati i due bag drop che troverò lungo il percorso, me ne torno a casa. Fortunatamente vivo a non più di 15 minuti da Parabiago e questo semplifica di molto le cose. Non invidio coloro che hanno dovuto attendere pazientemente in zona partenza, sotto il sole cocente d’agosto, il via. 
A casa le ore passano veloci tra check mentali su quello che potrei aver dimenticato (l’allestimento della bicicletta e i bagagli li trovate QUI), ultime verifiche del percorso e camminate distensive con Pluto, il nostro cane.
Le partenze sono scaglionate di modo da evitare assembramenti  e la mia è fissata alle 18.00. Scelgo sempre l’ora precisa perché mi viene più facile fare i conti sul tempo limite nei momenti di poca lucidità.
Mette un po’ tristezza partire da soli e sapere tanti amici sullo stesso percorso in quello che è l’evento dell’anno sia a livello Randonnée sia a livello personale per buona parte dei partecipanti. Sono in ogni caso deciso a fare del mio meglio per dedicare il brevetto a “Bebo”: un compagno della Uà Cycling Team che purtroppo, più di un anno fa, è venuto a mancare. Con Claudia avevo già deciso nel 2020 di dedicare a lui l’eventuale successo e, quando il Covid ha costretto a rimandare tutto al 2021, la nostra idea è rimasta comunque viva come una brace ardente.
Saluto Claudia che, per il solo fatto di essere alla partenza, mi da, se possibile, ancora più convinzione di quella che sento dentro.
Pochi minuti prima delle 18 carico la mappa della prima tappa sul navigatore, entro nel circuito deserto e parto verso un orizzonte lungo 1600 chilometri.

Pochi minuti da solo e un treno imbizzarrito di inglesi mi sorpassa a velocità doppia. Con una progressione che rende il respiro affannato, riesco ad agganciarmi all’ultimo vagone. Il ciclocomputer segna sempre una velocità superiore ai 35Km/h e, in men che non si dica, il ponte delle barche di Bereguardo e i primi 70km sono alle spalle. 
1001M_5Il calar del sole e la necessità di riempire la borraccia, mi fanno propendere per saltare giù da quell’orda barbara di bici lanciate come proiettili nel buio e proseguire del mio passo. Lascio alle spalle il Po e, giunto nel tortonese, mi dirigo spedito verso casa Coppi, dove inizia la prima salita. Sulle rampe tetre che portano a Castellania, recupero diversi ciclisti, ma non riconosco nessuno. Memore della descrizione di tappa mi aspetto di trovare da un momento all’altro un tratto sterrato che in realtà non c’è.

…percorrendo un tratto di 1 km di strada bianca in salita, la “SFR di Fausto”  si arriva nel borgo di Castellania di fronte al Mausoleo sede del controllo. (dal sito della 1001Miglia)

Al mausoleo dedicato a Serse e al mio mito Fausto Coppi è posto il primo punto di controllo, dopo 112Km. Il tempo di riempire nuovamente la borraccia, omaggiare il Grande Fausto col pensiero e sono pronto a ripartire nella notte. 

I 54Km che mi separano dal controllo successivo di Casella Ligure, non presentano particolari difficoltà e, senza accorgermene, mi rendo conto di trovarmi già nella terza regione del percorso. Tiro dritto senza sosta, prendendo ad arrampicarmi sulle pedalabili rampe che portano al Passo della Scoffera (674m). La strada, immersa nella vegetazione, è orfana di ogni qualsiasi forma di vita. Di tanto in tanto noto in lontananza il faro posteriore di qualche randagio intento in questa stessa avventura. Il resto è buio e silenzio.
La discesa che porta a Chiavari è fresca e spigolosa. Il caldo afoso della giornata appena trascorsa ha lasciato spazio a temperature decisamente più basse. Giunto in vista del mare raggiungo un gruppo di 6 randonneurs. Mi accodo a loro, ma, in una delle ultime curve, il primo davanti urta uno spartitraffico e cade al suolo. Niente di grave fortunatamente e, in men che non si dica, siamo pronti a ripartire. Le biciclette prendono a risalire le rampe che portano ai 615m del Passo del Bracco e inevitabilmente ci perdiamo di vista prendendo ognuno il suo passo. I ricordi corrono a ritroso: passai da queste parti qualche anno fa, nel mio viaggio verso la Toscana. Ricordo che quel giorno scendeva dal cielo pioggia gelata. Oggi va decisamente meglio e, superato il valico, mi lascio trasportare da una discesa tecnica e dissestata. A Deiva Marina, dopo oltre 250Km è posto il terzo punto di controllo. Non vedendo indicazioni lo manco e, solo dopo aver incrociato un’auto che mi fa notare di essere andato troppo avanti, ritorno sui miei passi e raggiungo l’agognato check point. Ansioso di mettere qualcosa sotto i denti (avendo pedalato per buona parte di notte non era possibile rifornirsi nei negozi o supermercati e ai precedenti check point non erano previste cibarie) rimango presto deluso in quanto il tutto si traduce in uno spicchio di mela e un quarto di banana che creano una specie di voragine nello stomaco. Alcuni randonneurs che trovo al controllo, optano per sedersi per terra e riposare un po’, altri mendicano ancora un po’ di frutta. Io decido di andare avanti. Non dovrebbe mancare molto al sorgere del sole e, se la fortuna mi assisterà, troverò un bar aperto di buon’ora.
1001M_10La strada che si leva dal litorale sale decisa, mentre la luce finalmente rischiara la costa regalando una bella vista sul Mar Ligure. Qualche saliscendi e una rapida discesa mi portano a Levanto dove scorgo un bar aperto. Inchiodo, scendo e riesco a ordinare un caffè doppio e due brioches prima che venga autenticamente preso d’assalto da un gruppo di ciclisti famelici. La scena si ripete all’infinito: sguardi assonnati che si illuminano all’improvviso, freni tirati, bici parcheggiate a casaccio e gente che si accalca lungo il bancone con gli occhi iniettati di crema. I gestori provano a farsi in quattro per servire tutti sfornando dal dolce al salato, ma si rammaricano del fatto che non si sapesse niente del passaggio della manifestazione, altrimenti si sarebbero organizzati per bene. Questa sarà una costante lungo tutto il percorso: nessuno sapeva del passaggio della corsa e credo sia un vero peccato per tante piccole realtà.
Riparto dopo pochi minuti, mentre il bar è ormai messo a ferro e fuoco dal collettivo randonneur. 

L’asfalto sale di nuovo verso i 542m del Passo del Termine e, metro dopo metro, si inoltra nella vegetazione della Lunigiana in direzione delle Alpi Apuane. Sconfino in Toscana e, l’ascesa che conduce quasi a 800m d’altitudine è l’ultimo ostacolo che mi separa dal controllo di Gorfigliano, che raggiungo in discesa. Il sole è ormai cocente e, al riparo sotto un tendone, posso placare la fame, dopo 370Km, con pasta e frutta. Finalmente un ristoro degno di questo nome! 

Riparto costeggiando il Lago di Gramolazzo scendendo verso la Garfagnana. Supero l’ascesa che conduce al Passo del Trebbio (735m) e, facendo scorrere rapidamente le ruote, raggiungo Collodi, paese di Pinocchio. La scelta qui è più che mai azzeccata e nessuno rinuncia a una foto ricordo e a un sorriso col burattino di legno. 
Pontedera è il nuovo punto d’arrivo di questa frazione che raggiungo dopo 483Km e un interminabile, tortuoso e snervante tratto di pianura che sembra girare in tondo. E’ ormai sera e, giunto al check point, incontro diversi amici. Qualcuno ha già ammainato bandiera bianca, qualcuno sta pensando di farlo. E’ un peccato, ma tanti non sono nelle condizioni di proseguire. Qualcuno sceglie di fermarsi e dormirci su qualche ora sperando che al risveglio vada meglio, ma il dormitorio altro non è che un campo di bocce. Le docce, così come nei controlli precedenti, non sono utilizzabili, nonostante sulla carta fossero previste. 
Sentita Claudia, che dalla cabina di regia mi rassicura sui tempi e sul fatto che sto andando molto bene, metto nuovo carburante nello stomaco e sono pronto a rimettermi in sella quando è nuovamente buio. Sono passate più di 24 ore dalla partenza e incurante della stanchezza e del sonno sono deciso a proseguire sulla strada finché ce la farò.

La pianura iniziale lascia ben presto spazio alle tipiche colline Toscane, mentre mi inoltro nella notte più buia che mi fa perdere la cognizione di dove mi trovi. L’unica compagnia sono dei cinghiali che intravedo e sento spesso grufolare nella boscaglia misteriosa accanto alla strada. Le luci di San Gimignano mi sembrano un miraggio e il ricordo di quando passai da queste parti con Claudia, mi raggiunge e mi riscalda. In un momento di lucidità ricordo addirittura dove trovare una fontana per riempire la borraccia. Le mura cittadine, spesso affollate di gente, sono ora silenziose e guardinghe, avvolte dalla notte.
Ho percorso più di 530Km, fermandomi solo per i controlli, qualche caffè e i due ristori. Sento le palpebre farsi pesati e capisco in pochi minuti di avere bisogno di una pausa. Svengo su una panchina per un paio d’ore senza neanche togliere il caschetto e con una mano ben salda sulla bici.

DI NUOVO IN SELLA
Risalgo in sella che è ancora buio e fatico non poco a carburare. E’ come se gli scampoli di sonno mi avessero anestetizzato. Sogno un caffè caldo e qualcosa di commestibile, ma è notte fonda e al controllo successivo di Castelnuovo Berardenga mancano oltre 60Km di colline che sfiorano Siena. Mi sforzo di restare vigile perché mi aspetto, da un attimo all’altro, di trovarmi sullo sterrato delle strade bianche

…Il finale passa lungo le strade dell’Eroica percorrendo alcuni tratti di strade bianche… (dal sito della 1001Miglia)

Ancora una volta, invece, la traccia mi tiene sull’asfalto. Alcuni randonneurs che incontro, soprattutto stranieri, mi chiedono lumi, ma ne so quanto loro. Intendiamoci, non che mi dispiaccia evitare lo sterrato di notte, ma non credo sarebbe costato troppo descrivere la frazione più accuratamente, soprattutto perché qualcuno, attendendosi di trovare polvere e terra, ha preferito fermarsi a riposare e percorrere quel tratto con la luce. Salvo poi scoprire che le ruote sarebbero comodamente rimaste sull’asfalto.
A Castelnuovo Berardenga, oltre al buon ristoro, trovo anche il primo bag drop. Purtroppo anche qui non è possibile fare una doccia, quindi faccio una veloce cernita di cosa portare con me, cosa rispedire a casa e sono pronto a rimettermi in marcia. 
1001M_26I 60Km della tappa successiva si snodano completamente tra le crete Senesi, uno spettacolo della natura: colline brulle, quasi lunari, erose dal tempo. Non c’è un filo d’ombra, un goccio d’acqua e quando il sole si leva alto nel cielo, il clima si fa rovente e la sofferenza intensa. Al controllo faccio incetta di acqua e frutta e mi chiedo cosa fare. La doccia anche qui è un miraggio, dormire con questo caldo non sarebbe un vero riposo e l’idea di rimettermi in sella sotto il solleone “agostiano” delle 13 non mi alletta molto, ma dopo un attimo di titubanza mi ripeto che devo scegliere alla svelta e non perdere tempo, così raccolgo la bici e riparto.

Nell’infinito rettilineo che porta verso l’inizio dell’ascesa del passo Radicofani, al sole a piombo si aggiunge il vento contrario. Scruto più volte alle mie spalle e all’orizzonte in cerca di un compagno di sventura con il quale darmi il cambio e “smezzare il vento”, ma lo sguardo non scorge alcuna forma di vita. Il pensiero di affrontare la salita in queste condizioni mi preoccupa, ma la fortuna vuole che, appena la strada prende a salire, dei nuvoloni nascondano il sole e il clima si faccia decisamente più clemente. Allo scollinamento, a quota 684m, incontro un’anima persa e dubbiosa su che strada imboccare. Mi avvicino e gli dico che la traccia indica a sinistra. Mi ringrazia, si mette a ruota e ripartiamo. In discesa lo sento spesso frenare, complice il fatto che avrà almeno 20Kg di muscoli più di me. Anastasios, Sachi per gli amici, è Greco, cardiologo e per alcuni anni ha lavorato in italia. Immaginatevi Mastro Lindo con una bici sotto le chiappe: è lui. Una vera forza della natura, ma sprecata: non riesce a stare a ruota e devi sperare che non decida di andare davanti perché con un paio di pedalate di pura potenza arriva senza troppi sforzi a 40km/h (in pianura). Ha un difetto però: dopo 5 pedalate smette e poi riprende, cosa che, se sei comodo alle sue spalle, ti da i nervi dopo pochi minuti. Parla poco e forse per questo andiamo d’accordo. Decidiamo tacitamente di proseguire insieme finché il fato lo vorrà.

Tra un saliscendi e l’altro superiamo la caratteristica Pitigliano, per poi arrampicarci sul Poggio Evangelista a quota 663m. All’orizzonte scorgiamo il lago di Bolsena e un sorriso si stampa sui nostri stanchi visi: non solo perché vediamo la fine di un’altra frazione, ma anche perché si tratta del punto più a sud del percorso e più o meno a metà del chilometraggio totale (772Km su 1600). Il pomeriggio è ormai inoltrato e noi sogniamo una lauta cena in riva al lago. Purtroppo rimaniamo ben presto delusi: dal check point il lago non si scorge minimamente, siamo in una specie di zona industiale, periferica, lontana da una qualsiasi forma di vita. Ci consoleremo con la cena, pensiamo, ma anche qui non siamo fortunati: l’unica cosa presente al ristoro è un panino con la porchetta. Niente altro. Se aggiungete che sono vegetariano, capite bene che non è il massimo. La mia cena si traduce in tozzo di pane e una coca cola. Cerco col telefono un ristorante, un supermercato o un qualsiasi negozio dove ci sia qualcosa di commestibile, ma siamo lontani da tutto e l’idea di prendere la bici e andare alla disperata ricerca di cibo non mi alletta: sono stanco e non ho voglia di sprecare tempo ed energie oltre quelle già profuse sull’asfalto. La doccia, come in tutti gli altri controlli alle nostre spalle, non si può fare. “Limiti legati alla pandemia” ci dicono. Ok, va bene che siamo randagi e ci adeguiamo alle situazioni, ma non ho mai visto, nelle precedenti esperienze, gente fare la doccia insieme, quindi qual è il problema? Infine, se proprio vogliamo farne un discorso di igienico: è salutare per una persona non lavarsi per giorni dopo che passa la giornata sudando copiosamente?
Rammaricati, decidiamo di ritirarci a dormire, ma anche qui le cose non vanno per il meglio: il campo della palestra non è utilizzabile per sdraiarsi (?!?) ci concedono di accomodarci sui gradoni degli spalti…. Sperando di non dimenticarlo mentre dormi: girandoti potresti cadere un gradone più sotto!

Tutta questa situazione la reputo una grave mancanza organizzativa:  è prevedibile che la gente tenderà a fermarsi in questo punto di controllo: vuoi perchè si è a metà percorso, vuoi perchè la partenza prevede di affrontare subito una salita, vuoi perchè si arriva presumibilmente tra il pomeriggio e la notte. Il ristoro dovrebbe essere degno del suo nome.
Nel mentre la lista dei ritirati si allarga come una macchia di petrolio in mare. Tra questi, purtroppo, noto diversi amici. Molti altri sono al limite del tempo massimo, possibile sia solo un problema dovuto al caldo o all’inesperienza dei partecipanti? O forse qualcosa non sta funzionando?

Ci diamo appuntamento 3 ore più tardi per ripartire. Prima di chiudere gli occhi Anastasios mi fa notare una cosa: mancano 9 tappe al termine della 1001miglia: 3 al giorno ed è fatta! “Ci pensiamo tra 3 ore, sogni d’oro Sachi“.

SI RIPARTE NEL BUIO
La notte è a dir poco gelida. Infilo le labbra nel bavero della mantellina per trovare un po’ di tepore, mentre ci avviamo nell’oscurità. Cerco di non pensare alla fame e mi rassegno al fatto che dovrò attendere la mattina per trovare qualcosa di commestibile. Con me e Sachi c’è un nuovo compagno di viaggio: Sascha Karcher. Tedesco, serio, taciturno, fa il programmatore e finita la 1001miglia si fermerà qualche giorno in Italia per fare un corso di inglese. Alternarmi con lui in testa è un vero piacere: tiene una velocità costante e segnala prontamente ogni buca. Chilometro dopo chilometro guadagnerà tutta la mia fiducia e credo di fare lo stesso nei suoi confronti.
Un Greco, un tedesco e un italiano spediti nella notte all’inseguimento di un sogno. Potremmo sembrare l’inizio di una qualsiasi barzelletta e forse in qualche modo lo siamo, ma quello che mi affascina davvero è che in pochissimo tempo si instaura tra noi un legame sincero e fraterno, quasi quel mezzo a due ruote che ci tiene sospesi tra cielo e terra avesse abbattuto ogni confine. 

A scaldarci ci pensa la strada che da subito sale sotto le  ruote fino a quasi 600m. Facciamo il nostro ingresso in Umbria e, dopo una rapida discesa, raggiungiamo Orvieto. E’ ancora buio, il traffico inesistente, il silenzio disarmante. Sento il sonno braccarmi le spalle e gli occhi farsi pesanti. Le ore che precedono l’alba sono per me le più difficili, così mi infilo un auricolare nell’orecchio e ascolto un po’ di musica. Di tanto in tanto canticchio e rimango sveglio. Arriviamo in cima al Monte Peglia (837m) e ci avviamo in discesa. Ben presto ci rendiamo conto come sia necessaria la massima concentrazione perchè l’asfalto è un vero colabrodo e in alcuni punti, col buio, il pericolo è tangibile.
A Marsciano le pendenze favorevoli si esauriscono e, giunti a una rotonda, nonostante il buio la faccia ancora da padrone, noto un bar-latteria aperto. Richiamo l’attenzione dei miei compagni di viaggio e senza proferire parola ci lanciamo come lupi affamati su un gregge di pecore. Due fette di crostata, due brioches e un caffè doppio sono il mio bottino. Penso di tenere una fetta di torta per i chilometri a seguire, ma non arriverà neanche alla porta di uscita del bar, che per noi è una sorta di oasi nel deserto. Porgiamo i nostri omaggi al mattiniero proprietario, quasi fosse un santone indiano e, rifocillati, proseguiamo il nostro cammino.

Il tratto che resta da percorrere ci porta sulle sponde del lago Trasimeno e, tra un saliscendi e l’altro, dopo 139Km, raggiungiamo Tavernelle Sant’Eusebio, poco dopo Cortona.
Davanti a pasta e frutta valuto le ultime parole di Sachi di ieri: se percorriamo 3 tappe al giorno è fatta. Ci riuniamo tutti e tre in una sorta di assemblea condominiale e dopo un indecifrato numero di fette di melone deliberiamo poche regole, ma chiare, di modo da venire in contro alle esigenze di ognuno di noi. Partire prestissimo, pedalare il più possibile prima che faccia troppo caldo e portarci il più avanti possibile. Fare una pausa adeguata cercando di farla coincidere con le ore più torride, completare la terza tappa nel più breve tempo possibile di modo da avere più ore di sonno a disposizione. Con queste poche e semplici direttive ripartiamo spediti, destinazione Matassino Reggello.

Ci attendono subito due salite: quella che porta ai 574m del Passo la Foce e ai 533m del Valico Scopetone. Più panoramica la prima, più velenosa la seconda. Su entrambe mi avvantaggio sui miei compagni, ma li attendo in cima senza problemi. La discesa che ci porta verso Arezzo è piacevole, ma proprio mentre lambiamo la cittadina Sachi ha un problema meccanico: la cassetta posteriore prende a girare a vuoto! Sul suo viso si materializza lo sconforto, ma gli faccio subito notare che la fortuna è dalla nostra parte: dall’altro lato della strada, esattamente di fronte a noi, c’è una ciclofficina. Affidiamo la bici alle sapienti mani dei meccanici e attendiamo all’ombra sul marciapiede. Sachi ci dice di andare avanti, ma né io né Sascha prendiamo in considerazione la cosa. Ripartiamo tutti insieme dopo 20′. Sachi, entusiasta di non aver visto svanire il suo sogno, scatena tutta la sua potenza sui pedali e ci trascina al traguardo della 10a tappa da autentica locomotiva umana.

La frazione successiva non si fa pregare e ci da il benvenuto con una salita, pedalabile nella prima parte, impegnativa nella seconda, che ci porta oltre i 1000m di altitudine, punto più alto della 1001miglia. Sachi sale del suo passo, io e Sascha ci avvantaggiamo cercando riparo nell’ombra che si riflette sull’asfalto. Gli ultimi 3Km sono per me i più difficili: Sascha si porta avanti di qualche centinaia di metri e io giungo in cima con la spia della riserva accesa. La strada non scende subito, ma si mantiene in quota nella Vallombrosa: un bosco fresco e incantato che ci ripaga di ogni sforzo. Personalmente lo reputo il momento più bello e suggestivo: il classico posto che non ti aspetti! Penso a quanto mi piacerebbe tornarci con Claudia e chissà che un giorno non lo faremo.
1001M_42Una lunga discesa e una serie di saliscendi sono quello che resta da percorrere e quando raggiungiamo l’autodromo del Mugello, mentre i miei compagni di squadra si esaltano per il posto, io sorrido, immerso nel ricordo del giorno in cui, su questo stesso asfalto, entrai a far parte della Nazionale Italiana Randonneurs. Raggiungiamo Scarperia all’imbrunire, la doccia è ancora utopia, ma il cibo non manca. Riusciamo ad accaparrarci 3 materassini e stendere le nostre stanche ossa. Appuntamento tra 4 ore per ripartire.

L’ULTIMO GPM
Ci avviamo verso il Passo Giogo che è ancora buio. Raggiungiamo altri randagi e, per buona parte dell’ascesa, procediamo in compagnia. E’ palpabile una certa euforia, dettata dal fatto che si tratta dell’ultima salita presente sul percorso. Da qui in poi sarà tutta una lunghissima ed eterna pianura, una linea che solca il piattume padano.
Alle prime luci dell’alba lambiamo l’autodromo di Imola e far passare la traccia nel parco dove è eretta la statua in memoria di Senna è un vero colpo da maestro dell’organizzazione. In queste righe non ho risparmiato critiche, ma qui non posso che fare i complimenti. Il momento è toccante, anche per uno come me che non ha mai seguito la Formula1 e che di motori capisce meno di zero. Raggiungiamo Lugo percorrendo strade secondarie e di campagna. Veniamo accolti con il massimo riguardo e, anche se l’ora sarebbe più indicata per la colazione, le persone al controllo ci sfornano la pizza calda che divoriamo increduli, leccandoci i baffi.
1001M_51La strada che porta a Massa Finalese è monotona, calda e noiosa. La sorpresa più bella è trovare Cinzia e altri cari amici al check point. Incontrare una faccia amica e sorridente, quando sei stanco e provato, è un’autentica iniezione di fiducia ed energia. Veniamo rassicurati sui nostri tempi di percorrenza: siamo tranquillamente in linea, mentre tanti altri alle nostre spalle sono ampliamente fuori tempo. Cercheranno di tenere aperti i controlli il più possibile, anche oltre l’orario previsto, di modo da dare la possibilità ai ciclisti di recuperare il tempo perso nella lunga e afosa pianura. Spiace quasi partire e dover salutare gli amici, ma la strada chiama.

I 68Km che portano a Pieve di Coriano non presentano difficoltà, se non il caldo torrido e la ciclabile del Po che è spesso dissestata, a volte sterrata e non attraversa alcun paese anche solo per riempire la borraccia. L’arrivo al check point riporta alla memoria Alpi4000: in questo stesso luogo era posto un punto di controllo. Ricordo che allora ero sfatto, stanco, sfinito; mentre oggi, grazie all’esperienza accumulata, sono stanco sì, ma allo stesso tempo carico e sorridente.
Quando ci dicono che possiamo fare la doccia strabuzziamo gli occhi e pensiamo si tratti di uno scherzo, invece è tutto vero. Ce la godiamo ed è un toccasana dopo giorni di sudore! Il dormitorio con le brandine è un lusso. Ci corichiamo che fuori il sole deve ancora tramontare. Le musiche e le grida del paese in festa si fanno sempre più lontane fino a perdersi nel sonno.

ULTIMO GIRO, CON BRIVIDO
Ripartiamo nel cuore della notte, con l’entusiasmo dei ragazzi l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze estive. Ci aspettano le ultime tre tappe per realizzare il nostro sogno comune. Ognuno col suo motivo, con la sua stanchezza, con la sua voglia di andare avanti per agguantare quell’obbiettivo che ormai sembra a portata di pedale.
Le difficoltà degli 87Km che portano a Colorno non sono altimetriche, ma dettate dal tracciato. Per buona parte del tempo rimaniamo sulla ciclabile del Po che risulta però spesso e volentieri dissestata. Incontriamo un ragazzo che ci racconta di essere caduto pochi km prima a causa di una buca, così procediamo con prudenza, mettendo a tacere la smania di spingere sulle pedivelle. In un punto in particolare, la traccia ci porterebbe a destra, la freccia sull’asfalto a sinistra. Seguiamo la prima, col risultato di trovarci su uno sterratone di campagna e dover tornare sui nostri passi.
1001M_54Raggiungiamo la bellissima reggia di Colorno alle 5 circa. In caso di bar chiuso, il controllo è autogestito. Alcuni randagi, sfatti, dormono sulle sedie, altri per terra, alcuni al caldo in un locale bancomat. Tutti in attesa di tempi migliori e nuove energie. Stiamo per scattare la foto che testimonia il nostro passaggio, quando sopraggiunge la titolare dell’esercizio con un vassoio di brioches calde appena ritirate dalla pasticceria. Con la scusa di farci apporre il timbro, facciamo razzia e ripartiamo nel buio come fuggiaschi fuorilegge.

Gli 80Km che ci separano da Fombio si snodano principalmente su solitarie strade di campagna illuminate dai primi raggi di sole. Gli ultimi chilometri ci sembrano infiniti e abbiamo l’impressione di girare in tondo, ma finalmente riusciamo a raggiungere il bellissimo castello dove è situato il punto di controllo. Un abbondante rancio ci da nuove energie e in men che non si dica siamo pronti a ripartire.

Facciamo ormai il conto alla rovescia, mentre procediamo spediti verso il nostro sperato destino. Ci sembra ormai di sfiorare il sogno, di accarezzare quel fato tanto agognato quanto voluto. Le bici sono puledri imbizzarriti che tagliano l’aria oltre i 30 allora. Ancora una volta però, la scelta degli organizzatori è quanto meno discutibile: per raggiungere Pavia ci viene fatta percorrere la trafficata e sconnessa SP234 e il mio pensiero va a coloro che si sono trovati a percorrerla venerdì nel tardo pomeriggio con il traffico del dopo lavoro, camion e tir. Evitiamo le buche alla bene e meglio, ma in una, più simile a un cratere, ci finiamo dentro in pieno. Sascha buca, così la sosta è d’obbligo. Decidiamo di ripartire con maggiore cautela, tenendo una velocità più bassa e, raggiunto il controllo segreto di Zerbolò (talmente segreto che non c’è neanche un cartello a segnalarlo) mi rendo conto di aver bucato anche io. Sostituisco la camera d’aria mentre Sascha e Sachi si gustano un fresco gelato. Ripartiamo percorrendo la ciclabile di Bereguardo prima e quella del Naviglio Grande poi, ma dopo soli 35Km buco di nuovo. Altro pit stop, altra camera d’aria e si riparte. Nonostante abbia controllato con cura il copertone, non sento la spina che si nasconde tra le maglie della ruota, col risultato che, dopo solo 2Km, la mia camera d’aria è nuovamente a terra. Per la terza volta! Improvvisamente ho paura. Sento quel sogno svanire sotto i miei piedi a pochi km dal suo epilogo. Provo a respirare, ma sento un misto di rassegnazione, stanchezza e rabbia che non mi permette di essere razionale. Ripartiamo, ancora una volta, l’ennesima, ma sarà l’ultima perché metro dopo metro, raggiungiamo Parabiago dove la nostra avventura era iniziata qualche giorno prima e 1601Km fa.

Ad attendermi sulla linea del traguardo trovo Claudia, Pluto e 3 mele: quasi fossero dei calici con i quali brindiamo alla vittoria. Il cuore si riempie di gioia e appena mi consegnano la medaglia, la metto al collo di Claudia. Se tutto ciò è stato possibile, il merito è anche suo. La dedica per questa piccola impresa, come avevamo pianificato, va a Bebo, da parte di tutta la nostra squadra, la Uà Cycling Team di Ovada.

EPILOGO TRISTE
Dopo le foto di rito, i sorrisi e i complimenti reciproci non ci resta che salutarci. Sappiamo tutti benissimo che non ci rivedremo più: la nostra è stata un’amicizia tanto profonda quanto estemporanea, nata e morta sulla strada, come forse è giusto che sia. Tutti e tre siamo però certi che non ci scorderemo più l’uno dell’altro.

Quello che ne segue è la cosa che mi delude maggiormente: alla fine dei giochi l’organizzazione decide di omologare tutti, anche coloro che giungono al traguardo fuori tempo limite.
Sinceramente mi sembra una presa in giro. Ci tengo subito a precisare: trovo giustissimo tenere aperti i controlli intermedi il più possibile, trovo giustissimo premiare con la medaglia tutti i finisher, trovo doveroso consegnare l’attestato a tutti coloro che giungono faticosamente al traguardo, ma non trovo assolutamente giusto omologare tutti indipendentemente dal tempo. Mi chiedo a questo punto quale fosse il tempo limite, ammesso che ce ne fosse uno. Come si può sentire chi si è dannato l’anima per stare nei tempi quando poi scopre che poteva prendersela con comodo? Quanto amaro in gola può sentire chi ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e ha dato tutto sé stesso per arrivare a Parabiago appena nei tempi? Magari anche solo di pochi minuti? Cosa prova chi si è ritirato scoprendo che poteva arrivare con calma?
Tutto questo sembra non contare e, a parer mio, il “liberi tutti” finale scredita tutta la manifestazione.
Non ultima, non meno importante, guardando i tempi finali delle omologazioni mi accorgo che randonneurs giunti al traguardo ben dopo il mio arrivo, hanno ottenuto un tempo finale nettamente inferiore.

Forse mi ci vorrà un po’ di tempo per digerire tutto, o forse non lo digerirò mai. Quello che so è di avere dato il meglio di me stesso e che ricorderò per sempre questa 1001miglia come una bella storia di amicizia senza confini.

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