Randonnèe dei 7 laghi

010518_7Sono passati appena 5 giorni dalla Randoselvaggia di Busto Garolfo. Le gambe sembrano essersi riprese, è quindi tempo di risalire in sella. Ad attendermi un’altra randonnèe, altri 200km. A conquistarmi è il nome e il percorso: 7 laghi. Già perché provo una silenziosa attrazione verso quegli enormi pentoloni d’acqua, avvolti dal mistero. Spesso i laghi sono circondati da leggende, dicerie, storie, che si perdono nelle profondità del tempo e dei fondali, dove la luce non filtra e l’acqua si fa scura come il cielo notturno senza stelle.
Forse mi attraggono perché inconsciamente mi ricordano il mare, davanti al quale mi incanto e che vedo sempre troppo poco rispetto a quanto vorrei.

La partenza è fissata a Legnano, cittadina di confine della provincia Milanese, nota alle cronache ciclistiche per la Coppa Bernocchi: gara professionistica che si corre nel mese di settembre.
Un pavido sole prova a farsi spazio tra le nuvole, mentre muoviamo le prime pedalate. Al via trovo Matteo, con cui ho condiviso Luparound lo scorso anno, anche se di persona non ci siamo mai visti. Foto ricordo prima di montare in sella.

«La facciamo insieme la rando?».
«Partiamo, sarà la strada a deciderlo».

Traghettati da gruppi più o meno numerosi, percorriamo i primi km di pianura che conducono a Como. Matteo lo vedo nel gruppetto davanti, sempre più distante, fino a sparire all’orizzonte.

Passano appena 30km quando la mia bici viene infestata da un gruppo di rane che si infilano a tradimento nel movimento centrale. Infatti, dai pedali, comincio a sentire un sinistro, incessante e disarmante gracidìo via via più insistente.
Vorrei distrarmi e tuffare gli occhi nel lago di Como, invece il traffico motorizzato mi costringe a rimanere concentrato sulla strada. Più o meno consapevolmente ancora una volta rimango da solo, mentre a Menaggio la strada saluta il primo dei 7 specchi d’acqua e prende a salire. Mi alzo sui pedali e le rane cantano a gran voce.

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Senza accorgermene giungo al lago di Piano che sul percorso non è menzionato come uno dei 7, ma è quello che trovo più affascinante di tutti e che mi conquista. È la volta poi del lago di Lugano che conduce in terra elvetica seguito, tra un saliscendi e l’altro, da quello di Muzzano.
Il rientro in Italia dalla dogana porta sempre con sè quel retrogusto di fuorilegge: poco importa poi se al posto del deserto ci sono i laghi e al posto dei gringos, i randagi.

«Madre de dios, quién es quel hombre senor?».
«La pedivella sinistra del diavolo». (SemiCit.)

Vaneggiando nel mio mondo fantastico, tra una pedalata e l’altra, mi ritrovo a Luino sul lago Maggiore, che costeggio per diversi chilometri. Seguito poi dal lago di Monate, Comabbio e Varese. Qui ha inizio l’ultima asperità di giornata che conduce ai 400m di altitudine e ai 175km percorsi. Recupero diversi ciclisti ciondolanti e sfatti, ma proprio sul più bello mi cade la catena. Pochi secondi per rimetterla al suo posto e ripartire con le mani nere da meccanico consumato. Una manciata di chilometri e arriva anche il secondo controllo e rifornimento, dove mi rendo conto che tutto sommato l’accoppiata banana e grasso di catena, non è poi così male.

Mancano ormai una ventina di km pianeggianti all’arrivo, che scorrono via veloci in compagnia di un paio di ciclisti ignoti. Ci alterniamo in testa senza proferire parola e ai -10 ritrovo Matteo, inconsapevolmente inseguito per tutta la giornata, rallentato anche lui dalla caduta della catena e dalla sindrome delle mani ingrassate. Arriviamo insieme, giusto per farci una nuova foto all’arrivo, con i palmi opachi e le facce insabbiate dal sudore. A guardarla bene, potremmo sembrare dei veri fuorilegge che hanno pedalato 200km per attraversare 7 laghi ed essere salvati da un cartellino giallo che li scagiona.

«Qualcosa da dichiarare signore?».
«Rane di contrabbando».

Il mio percorso