Le gambe mulinano veloci sui pedali per cercare di scaldarmi. Giorno dopo giorno il tempo si è fatto sempre più buio: esco e rincaso illuminando un fascio di asfalto davanti alla mia ruota, quel tanto che basta. E’ arrivata la pioggia, a secchiate e l’ho presa quasi tutta. E’ arrivato il freddo che ha fatto scorrere le prime lacrime sulle mie guance ghiacciate. Lì ho capito che ormai l’inverno è alle porte.
Sembrava ieri che mi stupivo per il mutare del colore delle foglie, per le chiome degli alberi variopinti e invece siamo già al Generale Inverno. Sempre ammesso che questa volta si faccia vivo, dato che l’anno scorso non si è visto, così come l’estate del resto. E’ stato tutto un lunghssimo primaverautunno, più o meno accentuato.
Nonostante soffra terribilmente il freddo e cerchi ogni anno nuovi metodi per scaldarmi, spero arrivi e congeli ogni cosa perchè credo che, per il bene di tutto e tutti, avere un meteo conforme alle stagioni, sia più che mai necessario. Perchè in fondo quanto tutto è congelato, sembra che anche il tempo si fermi.
I primi assaggi dell’inverno sono arrivati e speriamo non svaniscano.
Come ogni anno il Generale porta con se anche il Natale, con le sue luci, i suoi suoni, i suoi odori e sapori.
Vago con la mente, mentre passo veloce accanto a luci intermittenti. Vado indietro negli anni e sorrido nel ricordare quello che era per me il Natale quando ero bambino, ragazzo.
Era magia. Semplicemente.
Il Natale arrivava e portava con se una sorta di perdono: tutti i litigi e gli screzi di un anno finivano nel dimenticatoio. Via i rancori, via la rabbia, si ripartiva con uno spirito nuovo e un sorriso in faccia. Si ripartiva: nei rapporti, nella vita, nei conti con se stessi.
Il Natale era l’albero, che rendeva tutto più caloroso e che mi sembrava facesse litigare meno le persone. Adoravo tenerlo acceso con le luci di casa spente. Mi riscaldava il cuore.
Natale era mio nonno quando mi raccontava che andava a prendere l’albero e lo portava a casa in bicicletta.
Il Natale era l’insalata russa, il vitello tonnato e la frutta secca, che comparivano sulla tavola solo in quel momento e poi via per un anno. Ricordo che un Natale mangiai talmente tanto vitello tonnato che alla fine la notte stetti male.
Il Natale era l’infinito cesto di clementine, che chiunque mangiava a qualsiasi ora, in qualsiasi quantità. Eppure quel cesto non finiva mai.
Il Natale era la mostarda, che non mi ha mai fatto impazzire, ma quando la vedevo capivo che era Natale.
Il Natale era il pandoro e il panettone. Scelta che ti classificava come quando a 18 anni ti chiedevano: “Mettalica o Iron Maiden?“.
Il Natale era la tovaglia rossa con sopra le candele e portatovaglioli fatti col vischio. Il Natale era la coccarda fuori dalla porta e le campanelle appese al lampadario, che colpivi e facevi suonare ogni volta che ti alzavi perchè dimenticavi che erano lì.
Il Natale erano i sorrisi, le risate e il regalo più stupido che poi, alla fine, diventava il tuo preferito perchè in fondo era l’unico che ti serviva davvero.
Anno dopo anno, crescendo, ho visto le cose mutare fino a sbiadire e perdere consistenza. Ogni prelibatezza è comparsa sulle nostre tavole quotidianamente, le persone si sono fatte via via più rancorose, correndo dietro a dei ritmi assurdi per fare regali inutili che nessuno poi considera, ma che si vuole vengano fatti.
La gente ha iniziato a perdonare meno, a sorridere poco e a non sognare più.
La gente ha smesso di credere nel Natale, nella sua magia e prova inutilmente a sopperire con cose materiali all’indifferenza dello spirito.
E allora quel clima che tanto apprezzavo e che aspettavo con entusiasmo, si è via via sciolto.
Oggi vorrei solo che il Natale passasse senza fare troppo rumore.
Indosserò la mia maschera di circostanza, un sorriso finto in viso e la mente chissà dove.
Quello che vorrei è semplicemente fare un giro sulla mia bicicletta o una corsa, su strade deserte che ti permettono di vedere l’infinito, o forse la nebbia, comunque qualcosa di indecifrabile all’orizzonte. Rincasare, mettermi sul divano, sotto le coperte. Un pasto semplice, caldo, un film romantico in tv o anche un libro. Vorrei affacciarmi alla finestra e vedere nel vetro di fronte una famiglia che sorridente festeggia il Natale.
Non voglio regali: nessun oggetto, per quanto utile, potrebbe oggi compensare la tristezza che sento dentro.
Quello che vorrei è solo vedere gente più diretta, più sè stessa, più selvatica, più irrazionale, più sognante, che crede nell’illogicità perchè a volte abbiamo bisogno di credere nell’impossibile.
Sono stufo di vedere gente fingere di cercare la felicità. Basta con l’ultimo modello di cellulare, col vestito all’ultimo grido, con le auto che viaggiano all’impazzata e parcheggiano in doppia fila, con “gli devo fare un regalo perchè lui me lo farà“, con il nervoso palpabile per carcare qualcosa di inutile pensando “sicuramente non l’avrà“, con la logica e il raziocinio che sono terribilmente noiosi. Basta! Fermatevi!
Questo non è Natale, è una mattanza.
Come dicono i Negrita: “…E tra poco arriverà Natale con quell’albero in plastica che non ne può più; e la gente aspetta un anno migliore per poterlo guardare in tv…”
Credo che un Natale diverso sia ancora possibile. Come? Guardando gli occhi dei bambini e dei grandi che ancora ci credono e brillano in questo periodo dell’anno, che ancora credono che quel giorno sia magico. Fateli sognare e sognate con loro e forse vi accorgerete che magico lo è davvero. Basta crederci. E forse vi accorgerete che non servono poi tanti orpelli inutili.
Solo quando risentirò quello spirito, quell’atmosfera, allora forse riprenderò a credere in qualcosa che oggi non c’è più.
Voglio tornare a credere nella magia di quei giorni, di quella notte, ma fino a che le cose non cambieranno, non mi resta che pedalare su strade buie, indifferente a luci stroboscopiche, canticchiando i Modena City Ramblers: “…Un saluto e un cordiale ‘fanculo ad un altro Natale…”